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La problematica città industriale della Boemia del nord, nel giorno dell’annuale invasione di corridori per la mezza-maratona. La scommessa di Carlo Capalbo, patron della gara: “Quella di Ustí è molto più di una semplice corsa. È un motivo di orgoglio per la città e anche per noi di RunCzech”

Arriviamo a Ustí nad Labem in una giornata grigia, a tratti piovosa. Non è una buona partenza.

La città sorge alla confluenza dei fiumi Elba e Bílina, a metà strada tra Praga e Dresda. Venendo dalla capitale, ringraziando i perenni lavori autostradali, si ha la fortuna di seguire l’Elba su una stretta strada a due corsie. Il cielo basso e le nuvole pesanti regalano un panorama on the road malinconico, che scivola in toni argentei tra le colline scure e boscose. Il castello medievale di Střekov, arroccato su un promontorio, annuncia l’arrivo a destinazione. Il paesaggio è cupo ma affascinante, poetico, e forse per questo l’ingresso in città è ancora più aspro: Ustí nad Labem, cartolina brutalista in una cornice di polveri, appare, semplicemente, inequivocabilmente, brutta.

Potremmo dire, per smorzare i toni, che la città fa mostra della sua vocazione industriale senza fronzoli: ospita impianti alimentari, chimici e metalmeccanici, è un porto importante (di qui le merci ceche raggiungono Amburgo) e un grande snodo ferroviario. Le sue origini storiche – nel XIII secolo Re Ottocaro II di Boemia invitò coloni tedeschi a dare vita alle città su un insediamento di più vecchia data, per farne un avamposto commerciale sul fiume – sono per lo più sepolte dal cemento. D’altra parte prima della forte industrializzazione era di modeste dimensioni; gli 11mila abitanti del 1870 erano quadruplicati nel 1900. Al cambio del secolo il porto fluviale di Aussig, il suo nome ai tempi dell’Impero, vide crescere gli scambi commerciali a tal punto da farne superare il valore rispetto agli affari del porto di Trieste. Pare difficile a credersi oggi, ma Ustí era il simbolo del benessere, il cuore industriale dell’Impero. Un benessere, va sottolineato, soprattutto di lingua tedesca. Non solo era tale la maggioranza degli abitanti (censimento del 1930: su 44 mila abitanti, 34 mila tedeschi), ma questa era la città natale del Partito Tedesco dei Sudeti, che divenne la testa d’ariete nazista negli anni Trenta; un partito per cui l’annessione al Reich nel 1938 fu una giornata di festa. Il primo gennaio del 1939 la sinagoga locale fu data alle fiamme. Nel 1945 la città fu pesantemente bombardata dagli alleati. Nel 1946 la maggioranza tedesca fu espulsa dalla città. E poi il socialismo reale, la difficile riconversione economica degli anni Novanta, l’ingombrante presenza dei vecchi impianti industriali… Ad oggi la città è ancora indietro rispetto al resto del Paese. La disoccupazione, sebbene molto calata negli ultimi anni, è il doppio della media nazionale, e i nuovi lavori si creano con difficoltà: per ogni posto libero in Repubblica Ceca c’è la media di 1,4 disoccupati; a Ustí nad Labem il numero sale a 7,2. In più siamo nel pieno del cosiddetto “triangolo nero”, lo Schwarzes Dreieck, termine tedesco coniato a fine anni ‘80 per descrivere il forte inquinamento tra il nord boemo, la Sassonia orientale e la Slesia polacca, tutte zone industriali e minerarie.

Grigia giornata, grigie memorie, grigie le strade. Ma a distrarre foschi pensieri, ecco sfrecciare un corridore solitario. Un’apparizione seguita da altri personaggi in tenuta sportiva, come animali silenziosi e veloci ci passano vicino e scompaiono dietro in un vicolo. Li seguiamo, in direzione Mírové náměstí, la piazza del centro. E così, finalmente, ecco i colori: il nostro arrivo combacia con una giornata di festa. La piazza è colma di gente, che si muove ondulante tra file di gazebo. Si tratta della settima edizione della mezza maratona locale, organizzata dalla RunCzech, il cartello che da più di vent’anni fa correre i cittadini cechi – e in questo 2017 ne ha fatti correre più di 90mila, in 42 eventi diversi. Sulla strada che costeggia la piazza, delimitata da banner pubblicitari, l’arrivo – e partenza.

“Mi verrebbe da dire una corsa che non è solo una corsa. È molto di più. Un motivo di orgoglio, un biglietto da visita della città”. Stuzzichiamo Carlo Capalbo, presidente della RunCzech, a trovare una frase che descriva la gara. L’accento è inevitabilmente sulla carica sociale che questa ha per gli abitanti.

Cerchiamo di capirne di più; certo è facile pensare a usare dei gioielli architettonici come Olomouc o Karlovy Vary (oltre, ovviamente, Praga) per organizzare una mezza maratona. Ma Ustí nad Labem?

“A posteriori la gente è sempre pronta a giustificare tutto, a trovare storie per il passato – ma la realtà è che c’è sempre una bella dose di fortuna. Dopo aver portato la corsa ad Olomouc c’erano diverse città che ci volevano. Un amico mi ha chiamato dicendo Carlo, se la fai a Ustí di certo la città, la regione, tutti ti danno una mano – e questo mio amico è uno bravo, simpatico, ha saputo convincermi… Risultato? Probabilmente, per questa gente, l’evento migliore dell’anno. 3.500 persone, più altre 3.000 della corsa per le famiglie – su 90mila vuol dire molto. È diventata e rimarrà una bella tradizione per la città, per tutta una parte del Paese che è rimasta più indietro”.

Certo il primo impatto non deve essere stato semplice. Carlo lo conferma. “La prima impressione, sette anni fa, fu terribile. La città è divisa a metà. Una parte più presentabile, in cui era stato immaginato il primo percorso, e un’altra… meno. La zona più povera, il ghetto rom. Ma questi eventi devono essere inclusivi, o non si fanno. Alla fine mi ritrovai a parlare con la comunità rom locale e oggi, pensa, ho volontari rom sul percorso”.

Vale la pena inserire qui una nota redazionale. Perché il disagio della comunità rom locale non è un argomento da poco. Secondo l’ultimo censimento vi sono meno di 1400 cittadini con nazionalità rom, ma la reticenza degli abitanti a definirsi tali, portano il numero effettivo secondo gli esperti a un valore vicino ai diecimila. E la convivenza col resto della cittadinanza non è delle migliori. A fine anni Novanta fece scalpore la decisione dell’allora sindaco della città, Ladislav Hruška, di costruire un muro sulla Matiční ulice, la strada che delimitava una zona a forte maggioranza rom dal resto “rispettabile” della città. Il muro della discriminazione, lungo 150 metri e alto quasi due, fu eretto a ottobre 1999; a seguito delle proteste, che divamparono veloci dalla comunità locale sino ai media internazionali, fu demolito dopo solo sei settimane; lasciando però un alone di vergogna sulla città. Il quartiere, una zona semi-periferica vicino al fiume, povera e più anonima che da immaginario gypsy, è oggi in stato di semi abbandono. Case decadenti, cemento e paneláky.

Considerando questi eventi, la spinta unitaria della corsa ha un sapore ancora più dolce. Oggi la cittadinanza partecipa per intero “veramente ci mettono l’anima – e, by the way,” puntella Capalbo, con malcelato orgoglio, “è la più veloce, dove facciamo i record di livello mondiale. E facciamo gare che sono allo stesso livello di New York o di Tokyo, in termini di qualità. È il miracolo di Ustí”.

Guardiamo alla città con occhi più riflessivi, aspettando la corsa principale. In una piazza squadrata, in cui gli architetti socialisti hanno dato sfogo alla loro proverbiale mancanza di originalità, una ragazza fa stretching vicino a una fontana. Visitiamo il museo cittadino, un palazzo a tre piani dal fascino austero. Al pianterreno la biglietteria è in realtà una caffetteria illuminata da ampie finestre, lucida, immobile, classica, con un grande pendolo in fondo alla sala. Un’anziana signora dal sorriso d’attrice vende biglietti, distribuisce depliant e serve il caffè in grande silenzio. Al di fuori delle grandi vetrate delle hand-bike sfrecciano in un ronzio attutito – un’altra delle corse “social” della giornata. Nei due piani superiori si distribuiscono varie esposizioni, la Ustí medievale, un’esibizione naturalistica, animali impagliati, il pittore locale Zdeněk Košek. Pulito e silenzioso, l’impressione è che il museo non conosca molti visitatori. La stoica resistenza dei musei inabitati è un segno distintivo della provincia boema.

Tornando verso la Mírové náměstí, troviamo dei volontari della RunCzech sotto un murales d’epoca comunista. Il murales parla di resistenza, il popolo marcia compatto, lo sguardo sicuro verso l’avvenire. Di fronte, un cantiere apparentemente abbandonato. È quasi l’ora della partenza, e torniamo in piazza in un fiume di persone. Osserviamo l’attesa dello starter da un caffè all’angolo, serviti da un cameriere sorridente che finalmente può praticare il suo inglese, con i tanti corridori venuti dall’estero a visitare una città così particolare. Il grigio è ingombrante ed è difficile per Ustí comunicare che c’è una ripresa industriale ed economica in atto, che il suo ospedale universitario è tra i più rinomati del paese, che il suo teatro comunale è conosciuto nell’ambiente come innovatore e coraggioso. L’immagine dei volontari sotto il murales – tra i pochi tratti umani dell’architettura locale – regala un pensiero di continuità. Ricorda che la città che non vanta bellezze è, prima di tutto, una comunità. In marcia. E, una volta all’anno, di corsa.

di Giuseppe Picheca