Tra misteri e leggende, tragedie e vitalità, una comunità che ha contribuito a rendere tale la Città d’Oro
“Praga è costruita di pietra e di calce ed è la maggiore città quanto al commercio, dalla città regia vi vengono i Russi e gli Slavi con le merci, e dai paesi dei Turchi i Musulmani e gli Ebrei con le loro mercanzie”.
Con queste parole scritte nell’anno 965, Ibrahim Ibn Jaqub, viaggiatore e mercante arabo-ebreo del X secolo, ci offre una tra le prime testimonianze storiche della presenza degli ebrei a Praga. Una testimonianza, però, che non risponde a un interrogativo importante: da quanto tempo il Popolo dei Patriarchi vive in questa città?
Nel cimitero ebraico di Žižkov, la nostra guida Berschowitz ci mostra la tomba del celebre rabbino e filosofo Ezekiel Landau, vissuto tra il 1713 e il 1793, e ci racconta la lunga e drammatica storia di questa comunità, una delle più antiche d’Europa.
Seguire a ritroso la storia degli ebrei praghesi è compito arduo perché la verità storica si confonde presto con la tradizione orale sconfinando, inevitabilmente, nel territorio vago e incerto delle leggende. Secondo uno dei vari racconti fu la regina veggente Libuše a profetizzare l’arrivo di un popolo straniero in Boemia, come un evento favorevole che avrebbe portato bene a questa terra. Secondo altre leggende, invece, gli ebrei arrivarono in Boemia ancor prima degli slavi, o addirittura subito dopo la distruzione del Tempio, e vi si stabilirono per commerciare e vivere in pace. Stando alle fonti è ipotizzabile che una prima comunità fosse arrivata a Praga da Bisanzio intorno al IX secolo, stanziandosi nell’attuale quartiere di Malá Strana. È possibile, come alcuni cronisti affermano, che questi ottennero già verso la seconda metà del X secolo il permesso di fondare a Praga un loro insediamento, in cambio dell’aiuto dato ai cristiani nella lotta contro i pagani residenti nella regione. Altri studiosi asseriscono che l’autorizzazione a edificare il ghetto nel XII secolo giunse da Vladislao II, re di Boemia.
In epoca medievale le condizioni della comunità ebraica praghese subirono vicende alterne. Se in un primo momento questa godette di una situazione tutto sommato discreta, con l’inizio delle crociate le cose andarono peggiorando. Beneficiava e non beneficiava, a fasi alterne, della protezione dei sovrani, ai suoi membri era vietato possedere terre, occuparsi di agricoltura e il loro status giuridico andava via via regredendo. Erano costretti, inoltre, a risiedere in zone delimitate e, soprattutto, non potevano mischiarsi con i cristiani. Capitava che il sovrano vantasse su di loro addirittura diritti di proprietà ma, paradossalmente, proprio in quegli anni le fortune degli ebrei incrementarono perché, oltre al commercio di beni, fu concesso loro di prestare denaro a interesse, cosa proibita ai cristiani perché considerata indegna.
Nel 1336 il re Giovanni di Lussemburgo saccheggiò il ghetto per sottrarre agli abitanti i loro tesori, ma successivamente Carlo IV li pose sotto la propria protezione, e fu proprio la casa di un ebreo, il ricco Lazar, che alla sua morte l’Imperatore donò ai maestri dell’Università di Praga come sede del primo collegio universitario.
Il cuore del ghetto era la zona nei dintorni della Sinagoga Vecchia-Nuova che comprendeva la via Široká e l’area dell’attuale cimitero ebraico. Il quartiere era separato dal resto della città da sette porte dislocate in vari punti del centro abitato, ed era un ammasso di case e casupole, botteghe e altri fabbricati spesso fatiscenti. In principio la zona era conosciuta semplicemente come: “V Židech”, dagli ebrei, e solo a partire dal ‘500 prese il nome veneziano di “Ghetto”.
In epoca medievale gli ebrei erano considerati inferiori, erano costretti a portare segni chiari di riconoscimento ed erano spesso il capro espiatorio dei sovrani, nonché vittime di diversi pogrom. Ma anche nei momenti più difficili, e soprattutto in questi, la comunità guidata dai rabbini non smise mai di istruirsi, studiare e meditare sui testi sacri.
“I rabbini – ci dice S. Berschowitz – sono sempre stati a capo della comunità per la loro saggezza e conoscenza delle cose umane e divine, come il grande e leggendario rabbino Löw, famoso per le sue gesta reali e leggendarie, ma anche molti altri che hanno illuminato il cammino degli ebrei praghesi per oltre un millennio”.
Dal ghetto praghese gli abitanti furono più volte espulsi. Nel 1543, con Ferdinando I d’Asburgo, poterono restare nel loro quartiere solo i ricchi che erano stati capaci di comprare un salvacondotto. Tutti gli altri furono costretti ad emigrare. Nel 1551 coloro che rimasero furono obbligati a portare sugli abiti un cerchietto di tela gialla per distinguersi dai cristiani, altri decreti di espulsione vennero eseguiti e, nel 1557, il ghetto venne addirittura chiuso, molte case vendute ai cristiani e le sinagoghe trasformate in chiese. Solo nel 1567 il sovrano Massimiliano II permise agli ebrei di restare nella città e allentò la morsa contro di loro, sebbene dietro il pagamento di pesanti tasse e restrizioni delle libertà.
Un periodo florido per i membri della comunità ebraica praghese fu invece il regno di Rodolfo II d’Asburgo, sovrano che nutrì un certo interesse per le pratiche, soprattutto esoteriche, della loro cultura. Questo fu anche il periodo in cui visse il leggendario Rabbino Löw, il cui nome è indissolubilmente legato alla leggenda del Golem, che ebbe contatti importanti con il sovrano. Sotto l’Imperatore Rodolfo il ghetto si espanse e venne modernizzato, vennero fondati un ospedale, una scuola e altri luoghi di culto. Rodolfo II ribadì i diritti dei semiti e promise alla comunità che non ci sarebbero state più né espulsioni né persecuzioni, nemmeno in futuro.
Nel corso del XVII secolo arrivarono a Praga molti nuovi ebrei; il ghetto arrivò a superare gli 11.000 abitanti e quella praghese era una delle comunità più popolose d’Europa. Durante la Guerra del Trent’anni anche gli ebrei contribuirono alla difesa della città contro gli svedesi guadagnandosi gli elogi dei comandanti militari di Praga.
Nel 1680, però, la peste che imperversava per l’Europa decimò anche la popolazione del ghetto, mentre nel giugno 1689 venne appiccato volontariamente un incendio che bruciò tutte le oltre 300 case del quartiere, la cui ricostruzione durò fino al 1703.
Grandi cambiamenti e riconoscimenti arrivarono durante il governo di Giuseppe II. Agli ebrei venne permesso l’accesso alle scuole pubbliche e alle università, la possibilità di acquistare immobili al di fuori del ghetto, e non furono più costretti ad indossare segni di riconoscimento. Tuttavia rimase per loro l’obbligo di pagare delle tasse speciali.
L’anno 1848 portò alla dichiarazione della prima Costituzione austriaca e, finalmente, all’uguaglianza civile degli ebrei praghesi. La storia del ghetto come luogo di emarginazione era giunta al termine. Nel 1850, inglobata nel V distretto, la città ebraica entrò a far parte a tutti gli effetti di Praga e il quartiere, in onore del sovrano Giuseppe II, fu rinominato: Josefov. Nel corso degli anni Josefov subì varie trasformazioni, molti edifici furono distrutti e ricostruiti, anche a causa delle frequenti inondazioni in questa parte della città. Durante la Prima Repubblica gli ebrei erano cittadini con pieni diritti, della comunità praghese facevano parte oltre 30.000 persone, e i loro tipici cognomi si annoveravano tra quelli di spicco in tutti campi della vita sociale, scientifica e culturale della città e dell’intera Nazione. Le discriminazioni del passato sembravano solo un brutto e lontano ricordo. Ma un nuovo tragico capitolo, forse il peggiore di tutti, si sarebbe di lì a poco aperto il 15 marzo 1939, quando l’occupazione e la disgregazione della Cecoslovacchia da parte dei nazisti, avrebbe segnato di nuovo, e per sempre, la storia degli ebrei praghesi. Le discriminazioni ripresero, “simbolizzate da quella stella gialla che due secoli prima avevano tolto, e che ricomparve sui vestiti degli Jude… Cosa accadde dopo è cosa nota” ripete due volte Berschowitz mentre depone un piccolo sassolino sulla tomba di pietra del rabbino Landau.
di Mauro Ruggiero