La vita da impiegato modello di Franz Kafka
«Sono alle Assicurazioni Generali, nutro però la speranza di sedermi un giorno sulle sedie di paesi molto lontani, di guardare dalle finestre dell’ufficio su campi di canna da zucchero o cimiteri musulmani, il ramo assicurazioni mi interessa molto, anche se per il momento il mio lavoro è triste». Da una lettera a un’amante di penna di nome Hedwig Weiler, datata 8 ottobre 1907. A scriverla è un impiegato fresco d’assunzione al posto d’ausiliario nell’agenzia praghese di Generali: Franz Kafka. Allora poco più che ventenne, quello che oggi è considerato uno dei più grandi autori della letteratura europea del Novecento, scopre in queste giovani confidenze le pieghe di un animo tormentato, preso tra l’anelito dell’altrove e il senso di un dovere che s’identifica con l’occupazione impiegatizia.
Un carattere ambivalente quello dell’uomo Kafka, che oscilla tra il meticoloso e l’animalesco; lui che divide la propria vita tra «le otto, nove interminabili ore di lavoro» e quelle da divorare fuori dall’ufficio, «come una bestia feroce». L’ambiguità umana di questo autore della colpa e dell’assurdo, sta in questa identità doppia: una “notturna”, che esprimerà in una grande letteratura capace di esplorare le angosce di un’epoca e che sarà conosciuta solo anni dopo la sua morte, ed una “diurna”, quella dell’assicuratore diligente, accorto, abile. Dopo una formazione in giurisprudenza e una breve esperienza nello studio di un avvocato, Kafka comincia la sua carriera nel settore delle assicurazioni nella prestigiosa sede praghese di una delle colonne finanziarie dell’Impero austro-ungarico.
La sede di Generali, gruppo triestino fondato nel 1831, all’epoca occupava il fastoso palazzo neobarocco di fine Ottocento, che troviamo ancora oggi all’angolo tra via Jindřišská e piazza Venceslao. Un edificio moderno e prestigioso in quella “nobile dell’Impero” che è la capitale del Regno di Boemia a cavallo tra Ottocento e Novecento. Una città dove una buona parte degli intellettuali e della borghesia parla tedesco, come l’autore, nato in una famiglia di commercianti ebrei. Ma se è certo che l’opera e la persona di Kafka sono legate a filo doppio con la Città d’oro, oggi sappiamo grazie ad alcuni documenti emersi dagli archivi del gruppo d’assicurazioni che la compagnia aveva intenzione di formare questo giovane per il lavoro all’estero. E che da parte sua anche Kafka immaginava una carriera lontano dalla sua città natale, in Italia, nella sede centrale di Generali. In una lettera del novembre 1907 l’autore scrive: «Sto studiando italiano in questo momento perché penso che sarò probabilmente inviato a Trieste». Tuttavia, questo progetto non andrà mai in porto e il giovane ausiliario lascerà il suo posto il 15 luglio del 1908, una decina di mesi dopo l’assunzione, giustificando le dimissioni con motivi di salute.
In realtà, in quel periodo, i gravi problemi di salute che poi lo portarono alla morte, non si erano ancora manifestati. Da quanto si può apprendere dalla sua corrispondenza di quel 1907, i motivi delle dimissioni erano probabilmente altri. Kafka infatti era particolarmente infelice anche a causa dell’orario di lavoro, dalle 8 alle 18, che gli rendeva estremamente difficile concentrarsi sulla scrittura, attività che sempre maggiormente stava assumendo importanza nella sua vita. «Ho un posto con un minuscolo stipendio di 80 corone e otto-nove interminabili ore di lavoro», sono le parole con le quali manifestava la propria insoddisfazione in una lettera a Hedwig Weiler del 1907. Oggi sappiamo che proprio durante quell’anno, il 1907, Kafka scrisse Preparativi di nozze in campagna (in tedesco Hochzeitsvorbereitungen auf dem Lande), pubblicato postumo dal suo amico Max Brod. Risalgono invece al 1908 i primi lavori di Kafka che vennero pubblicati, otto storie apparse nel primo numero della rivista letteraria Hyperion con il titolo Betrachtung (Contemplazione).
Negli Archivi Storici di Generali si trovano altri documenti preziosi che aiutano a fare luce su questo momento meno conosciuto della vita dell’autore. Sbirciando nel fascicolo di questo impiegato speciale si trova il suo curriculum vitae, dove Kafka racconta d’aver studiato all’Altstädter deutsches Staatsgymnasium (il Ginnasio statale tedesco della Città vecchia), d’essersi laureato in legge e di aver lavorato nello studio di un avvocato presso l’Altstädter Ring (Piazza della Città vecchia). In un curioso documento allegato il candidato afferma inoltre di saper parlare tedesco, ceco, francese e inglese ma di essere «fuori d’esercizio» in queste ultime due lingue. Interessante anche il referto medico che lo definisce «delicato ma sano», idoneo, insomma, all’assunzione nel gruppo. Oltre alla curiosità per il dettaglio privato, questi documenti, come tante delle sue lettere, hanno una concreta importanza storica per tentare di comprendere la complessa personalità di questo autore, la cui scrittura ha saputo esprimere i sentimenti ambigui, di smarrimento, che attraversano la società e l’uomo europeo all’inizio del ventesimo secolo.
Giuseppe Stefani, editore del Bollettino del Gruppo Generali, si è servito di questi documenti per la redazione di due importanti articoli pubblicati nella rivista della società: «Franz Kafka impiegato delle Generali» del 1952 e «Una lettera di Franz Kafka al suo capufficio presso le assicurazioni Generali» del 1954. È importante sottolineare che Stefani scrive in contatto diretto con una fonte d’eccezione, Max Brod, amico e confidente di Kafka. Sarà proprio Brod, fuggito nel 1939 da Praga a Tel Aviv carico dei manoscritti dell’amico a decidere, contro le ultime volontà di Kafka, morto a soli 40 anni il 3 giugno del 1924, di pubblicare, postuma, gran parte dell’opera dello scrittore praghese. Scritti come Il Castello o il Processo non avrebbero mai visto la luce se non fosse stato per la volontà di Brod di divulgare questi testi capitali. L’autore della Metamorfosi, da vivo, pubblicò poco e non conobbe la fama letteraria: non è esagerato dire che Kafka fu piuttosto un bravo assicuratore che uno scrittore incensato.
Dopo l’esperienza alle Generali, entra all’Istituto di Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro per il Regno di Boemia e ci resta per quasi quindici anni. Un posto che lascerà solo due anni prima della morte prematura. Sono ancora le tante lettere che Kafka scriverà durante tutta la sua vita a amici, amanti, e in quella celeberrima al Padre, che aiutano a comprendere il suo rapporto conflittuale con il lavoro d’ufficio: se da un lato sembra che questo impiego gli pesi, gli rubi tempo all’attività di scrittore che lo anima profondamente, dall’altro sappiamo che il suo rigore e la sua capacità lo porteranno a fare carriera nel settore assicurativo. A suo modo Kafka doveva essere fiero del suo mestiere tanto che arriva ad inviare ad amici certi documenti tecnici che redigeva per la compagnia. Impiegato meticoloso e dedito al servizio, scrive manuali d’informazione per le fabbriche per evitare gli infortuni e cerca di fare in modo che la maggior parte degli operai sia garantita contro gli infortuni in fabbrica, un ambiente di lavoro, all’epoca, ad alto rischio. Anche se è difficile dire in che misura il Kafka assicuratore abbia influenzato o ispirato il Kafka scrittore, è certo che la biografia di questo autore, capostipite di una lunga serie di epigoni, ha una trama doppia e sfuggente, a prima vista illogica, un poco assurda. Lui che ha come tema forte della sua scrittura i tentativi frustrati dell’uomo di contrastare il sistema, la burocrazia, ci ha in un certo modo lavorato all’interno da diligente impiegato: doppia vita insolita, un po’ kafkiana in filigrana.
di Edoardo Malvenuti