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Impressioni da Teplice, cittadina termale dal sangue blu ai piedi dei Monti Metalliferi. Sotto l’apparente immobilità, le ferventi contraddizioni politiche e sociali

Il vino caldo speziato (svařák, nella declinazione locale) scalda le mani e lo spirito. Il mercatino di natale ha invaso la piazza del centro storico, sotto caldi berretti di lana i venditori sorridenti (i commercianti cechi, da sempre parchi di emozioni, serbano i propri sorrisi per il periodo natalizio) propongono le solite mercanzie, pan di zenzero, formaggi locali, ninnoli di legno, decorazioni varie.

La piazza è fiancheggiata da un grande palazzo (sebbene porti il nome di castello), oggi museo regionale, ed è circondata per due lati da bei palazzi dal fascino settecentesco. Su uno di questi la curiosa scritta Stadt Klagenfurt fa sorgere dubbi di geografia. Sulla facciata dei vicini invece primeggia la scritta Prince de Ligne, in ricordo di un nobile che – scopriremo in seguito – nella versione verace e popolare della storia locale è ricordato col più prosaico nome di Principe Prosciutto.

L’ultimo lato della piazza è il tocco speciale, firma della sua città: la grande torre, bianca e riverniciata di fresco, che funge da campanile per la splendida chiesa di San Giovanni Battista. Teplice, cittadina termale ai piedi dei Monti Metalliferi, nella valle del fiume Bílina. Quindici chilometri dal confine con la Sassonia, cinquanta mila abitanti.

© Giuseppe PichecaIl piccolo centro storico, stretto in una modernità circostante piuttosto anonima, ha mantenuto il fascino ancièn regime, dei tempi in cui le terme ospitavano la nobiltà tedesca. I nomi dei visitatori illustri si ritrovano nelle insegne dei caffè e dei ristoranti: Beethoven, Goethe, Wagner. Facile immaginare le lunghe passeggiate di parrucche impomatate, ombrellini ricamati, guanti bianchi su bastoni di radica e tutto il circo della nobiltà nel parco alle spalle del castello, oggi con i due laghetti ghiacciati. Intanto il concerto natalizio raccoglie gli applausi e Teplice ci sorride come una piccola perla natalizia.

Ad accontentarsi di questa cartolina, però, sarebbe un inganno.

La prima ombra arriva dal museo regionale, il castello della potente famiglia Clary-Aldringen, proprietari dal 1634 al 1945. Attraversiamo abbastanza speditamente le grandi sale colme di ritratti e arredamento d’epoca. Una giovane guida dal volto rotondo, i capelli corti e castani e un’espressione bonaria che ricorda (per gli intenditori cechi) lo Švejk di Rudolf Hrušínský, elenca il fiume di notabili che hanno calpestato il nostro stesso pavimento (quel piano è stato suonato da Liszt, su quella poltrona sedette il maresciallo Radetzky), tra cui Giacomo Casanova, che visse i suoi ultimi anni al vicino castello di Duchcov. Amico di questi il belga Charles-Joseph Lamoral, Prince de Ligne, amante di gozzoviglie e ingordigia tanto da meritarsi il soprannome di cui sopra. Nella stanza più piccola del castello, quasi un ripostiglio, la collezione numismatica, con pezzi risalenti sin dalla storia antica. Una striscia di monete risale al periodo della Prima Repubblica e tra queste una corona su cui è incisa, con precisione, una svastica nazista.

La maggioranza tedesca nella regione, nel periodo tra le due guerre, fu la testa d’ariete del nazismo oltre frontiera; non solo, il nazionalismo tedesco si tinse della violenta tinta xenofoba e antisemita anche prima del nazismo stesso. Proprio al castello di Duchcov fu fondato nel 1919 il Deutsche Nationalsozialistische Arbeiterpartei, il Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori, sciolto nel 1933 dal governo cecoslovacco per attività sovversive e dalle cui ceneri nacque, lo stesso anno, il Partito tedesco dei Sudeti. Da lì in poi Teplice visse la catastrofe del nazismo, della guerra e dei decreti Beneš del 1945, con l’espulsione dei tedeschi e l’esproprio dei loro beni (tra cui le proprietà dei Clary-Aldringen). Le celebri foto della partenza dei tedeschi dopo la guerra qui sono precedute dalle meno comuni foto della cacciata dei cechi nel 1938.

Un passato spiacevole, ricordi d’odio. Settant’anni dopo, il germe dell’intolleranza sembra essere rimasto nell’aria. Ed infatti la seconda ombra viene amplificata da una notizia recente.

A metà novembre 2017 ha fatto scalpore una foto pubblicata su un social network da una maestra elementare, rea d’essere orgogliosa del mix culturale dei suoi giovanissimi alunni: molti volti di origini arabe, vietnamiti o rom. Le origini dei bambini sono bastate a scatenare un putiferio xenofobo di commenti e pettegolezzi, di cui i social sanno infiammarsi con così desolante velocità: “una classe di terroristi”, “sparateli tutti” e via dicendo; la disgrazia maggiore è stata la risposta di un parlamentare, Tereza Hythová, qui eletta lo scorso ottobre con la formazione SPD di Tomio Okamura, che ha dichiarato di capire le esternazioni d’odio dei locali contro gli stranieri. Una presa di posizione, comprensiva verso minacce di morte verso bambini di sei anni, che lascia esterrefatti.

La classe in questione è di una scuola del quartiere meridionale di Prosetice. Ad attraversarlo non si nota nulla fuori posto: una zona di panelák bassi e modesti. Decorazioni natalizie che si illuminano al crepuscolo. Una zona anonima, tranquilla, ma ingombrante: per l’eterogenea origine dei propri abitanti. Una zona in cui oggi le proprietà immobiliari hanno prezzi stracciati. Il conflitto sociale a Teplice non è infatti arrivato con i social network. Nel 2016 una studentessa di liceo è stata al centro di polemiche per indossare il velo; dozzine di lettere inviate al preside per esigerne l’espulsione. Nel 2015 una manifestazione di qualche centinaia di cittadini ha protestato per la presenza di visitatori musulmani nelle terme, causando un crollo deciso delle visite di turisti dal mondo arabo. Le storie si ripetono, e le statistiche sugli abitanti non fanno che rendere ancora più grottesca la xenofobia locale: su 50mila, gli abitanti di origini arabe sono circa duecento, oltre a seicento russi e poco più di mille vietnamiti.

Teplice è una città dai contrasti accesi, nascosti a fatica dietro il salotto buono delle terme e del turismo. Una città che si muove veloce sotto l’apparente immobilismo che ci aveva colpito al primo sguardo. Vitalità sotto la quiete, viene da dire, gattopardesca. Vitalità nella quale si mescolano i problemi economici del circondario, come la disoccupazione a seguito della chiusura delle miniere (stagno, lignite) e le connesse nuove speranze, come la probabile estrazione di litio a Cínovec ed i promessi mille posti di lavoro, una valvola d’ossigeno non da poco. I problemi politici, con la xenofobia del partito di Okamura a racimolare consensi alle ultime elezioni, e le connesse nuove speranze, tra cui brilla il primato nazionale del più giovane deputato del Parlamento ceco, e per di più di sangue misto: Dominik Feri, classe 1996, madre ceca e padre etiope. Studente di legge e musicista jazz, eletto con i liberal-conservatori (che qui, nel gioco dell’assurdo, sono stati veri rivoluzionari) del Top09. Feri è stato incluso dal quotidiano tedesco Die Welt nella lista di politici europei che possono “make Europe great again”, parodiando il celebre slogan di Donald Trump.

Al concerto natalizio, organizzato dal Lions club locale, un bluesman attira l’attenzione, di una bravura quasi fuori posto per un pubblico di famigliole e pettegolezzi. Teplice si racconta dunque così, una cittadina piccolo borghese, dalle bellezze storiche – ma senza esagerare – dai castelli nei dintorni – ma senza esagerare – dalle opportunità industriali – ma senza esagerare. Al contempo racconta l’immagine di un paese che non sa più guardare alle sue bellezze, che scambia gli stranieri per nemici, e inciampa su se stesso.

Una cittadina che nelle sue contraddizioni rispecchia una grande – e chissà quanto – parte della Repubblica Ceca.

di Giuseppe Picheca