Dai tempi di Karel Čapek e del suo robot, e persino da prima, la science fiction di questo paese ha avuto una profonda influenza anche all’estero, nel cinema e nella letteratura
Vi siete mai chiesti dove abbia avuto origine la parola “robot” e l’idea stessa di un automa di questo tipo? Oppure, quando il mondo della cultura ha cominciato a parlare della minaccia di guerra nucleare? In un certo senso – per chi non lo sapesse – tutto è partito dalla Cecoslovacchia.
Quello della fantascienza è un genere che da queste parti ha attraversato fasi di grande splendore sin dai tempi dell’indipendenza nazionale del 1918 e della Prima Repubblica, ma anche in periodi come quello dell’invasione nazista (1938-1945) e dei quarant’anni di comunismo.
Le origini di tale tradizione andrebbero però fatte risalire addirittura al 1881, quando lo scrittore Karel Pleskač scrisse Život na měsíci, Vita sulla luna, un romanzo che può essere appunto considerato il vero primo passo dello sci-fi ceco.
Karel Čapek, padre di un genere
Di solito comunque, quando si parla di fantascienza in Cecoslovacchia (o anche in Europa), si è soliti iniziare con lo scrittore e drammaturgo Karel Čapek (1890-1938), autore nel 1920 del lavoro teatrale in tre atti R.U.R., sigla di Rossumovi univerzální roboti (“I robot universali di Rossum”).
La parola robot, utilizzata allora per la prima volta, era stata suggerita a Karel da suo fratello Josef (1887-1945), pittore e scrittore, entrambi figure di importanza centrale per la cultura ceca fra le due guerre.
La profonda influenza di Karel Čapek si vide poi nel film muto tedesco Metropolis (1927) diretto dall’austriaco Fritz Lang, considerato a tutti gli effetti il primo capolavoro di fantascienza nella storia del cinema. Il futuro distopico di Lang, dalle crescenti divisioni classiste, era caratterizzato anche dagli automi prodotti con sembianze umane che sostituiscono gli umani, per motivi a volte sinistri. Proprio come i robot già visti nell’opera di Čapek, da un punto di vista però diverso rispetto alla visione più ottimista e armoniosa di quest’ultimo.
Uno dei primissimi esempi di fantascienza in tv, un adattamento di R.U.R. in forma di breve film (35 minuti) in bianco e nero, fu prodotto e trasmesso per la BBC nel 1938.
Oltre ad aver ispirato i primi androidi cinematografici, la firma di Čapek si nota nei primi film di fantascienza in patria. Con le opere letterarie Válka s mloky (La guerra delle salamandre) del 1936, e Bílá nemoc (La malattia bianca) del 1937, lo scrittore affrontò la dicotomia tra libertà e dittatura, tra guerra e pace, nonché la pericolosa ombra hitleriana.
Il secondo sarebbe diventato un film quell’anno stesso, grazie a Hugo Haas, regista e popolarissima stella del cinema cecoslovacco, che interpretò anche il ruolo principale del Dottor Galen. Il film, intitolato La Peste bianca in Italia, racconta come in un paese senza nome, un dittatore prepari una guerra contro gli stati confinanti mentre si diffonde una sconosciuta malattia mortale. Un medico, il dottor Galen, scopre una cura ma inizialmente decide di usarla solo per i malati più poveri: accetterà di condividere la sua scoperta solo a patto che il dittatore rinunci ai suoi piani di guerra. Una pellicola forse un po’ troppo verbosa, ma che vanta alcune belle idee di messa in scena e affronta temi importanti come lo sviluppo del nazi-fascismo in quel periodo. La pellicola venne ovviamente bandita l’anno successivo, con l’occupazione nazista. Haas, di famiglia ebraica, dovette emigrare negli Stati Uniti.
Dopoguerra e anni ‘60: da Čapek a Zeman
Il miglior adattamento di Čapek arrivò però più di dieci anni dopo, nel 1948, con Krakatit, diretto dal leggendario Otakar Vávra. Nella pellicola si ammira Karel Höger nel ruolo di uno scienziato chimico in preda al delirio e al rammarico per avere inventato un potentissimo esplosivo. Alla sua uscita negli Stati Uniti nel 1951, sul New York Times il film fu definito “una acuta orazione per la pace e contro la distruttiva fissione nucleare”, ed oggigiorno viene ricordato per essere forse il primo film ad aver denunciato e messo in guardia rispetto ai pericoli delle armi atomiche. I moniti del film arrivarono ben dieci anni prima degli equivalenti hollywoodiani sullo stesso soggetto come L’ultima spiaggia (1959), A prova di errore (1964), e naturalmente il classico del genere, la commedia Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick del 1964.
A seguito del colpo di stato comunista del 1948, non fu più possibile seguire la strada della fantascienza čapkiana, non politicamente in linea con il nuovo regime, e il genere dovette percorrere una nuova strada, nuove funzioni ed influenze. Dagli anni ‘50 in poi si videro soprattutto due tipi di fantascienza: uno influenzato dallo scrittore francese e padre dei generi di fantascienza ed avventura Jules Verne, e un altro basato sulle missioni cosmonautiche dei racconti del polacco Stanisław Lem.
Per quanto riguarda il primo tipo, il maestro indiscusso fu l’animatore Karel Zeman (1910-1989), il “Georges Méliès ceco”, il quale spiccava per un ingegnoso modo di fondere insieme disegni animati e riprese dal vivo in uno stile molto personale. Il suo capolavoro Vynález zkázy (Operazione Diabolica: 1958) viene considerato uno dei primi e migliori veri esempi del filone steampunk con le sue fantasiose scenografie ispirate alle incisioni di Riou e Benett, illustratori delle prime edizioni di Jules Verne. D’altro canto, le trasposizioni filmiche o televisive di avventure cosmonautiche tratte da Lem rappresentano vero Dna fantascientifico con le sue anticipazioni del futuro.
A livello internazionale, il film di maggior successo in questo filone è indiscutibilmente Ikarie Xb 1, del 1963, diretto da Jindřich Polák, liberamente tratto dal romanzo La nube di Magellano (Obłok Magellana) dello scrittore polacco.
Non vanno trascurate nemmeno le co-produzioni ceche con altri paesi europei come Il pianeta selvaggio (La planète sauvage), un film d’animazione del 1973 disegnato da Roland Topor che l’ha sceneggiato assieme al regista René Laloux. Un piccolo classico sia di animazione che di fantascienza. L’opera di Laloux espone le idee del suo autore, ma funziona anche grazie alla magia tecnica degli animatori degli studi del leggendario animatore Jiří Trnka. Gli studi di Praga erano stati scelti dal regista proprio per la bravura degli artisti presenti.
La normalizzazione oscura anche lo sci-fi
Purtroppo Il pianeta selvaggio rappresenta l’ultimo vero capolavoro del genere in Cecoslovacchia. Negli anni della normalizzazione, dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia del ‘68, divenne sempre più difficile creare fantascienza per un pubblico adulto. Per questo le opere del periodo furono principalmente per la televisione, e dirette ai ragazzi. Il miglior esempio di questa tendenza potrebbe essere la serie televisiva Návštěvníci (I Visitatori, 1981-1983), diretto ancora da Jindřich Polák, e ambientato in un futuro distopico (l’anno 2484) in cui i migliori cervelli del mondo sono costretti a viaggiare nel tempo per salvare il destino del pianeta. La serie, distribuita e seguita anche in Polonia, Ungheria, Jugoslavia, Romania e Spagna si distingue per i costumi di Theodor Pištěk (il quale in seguito avrebbe vinto un Oscar), e per l’animazione di Jan Švankmajer. Gli anni della normalizzazione portarono anche alla nascita di un nuovo filone di commedie fantascientifiche di titoli fantastici come Zabil jsem Einsteina, pánové (Ho ucciso Einstein signori: 1970) di Oldřich Lipský, e Zítra vstanu a opařím se čajem (Domani mi sveglierò e mi scotterò con tè:1976), ancora di Jindřich Polák. Il primo, caratterizzato dalle sue numerose invenzioni, ha attirato molta attenzione negli ultimi tempi per una scena in cui un personaggio scatta una foto usando una specie di asta per selfie, tantissimi anni prima della sua attuale diffusione.
Sci-fi declinato al presente
Se il genere della fantascienza ceca dalla rivoluzione di velluto si limita solo alla pubblicazione di riviste come Ikarie e di libri di autori come Jiří Kulhánek, il genere continua a suscitare interesse anche dall’estero. Non è un caso che nel 2014 sia stato pubblicato il saggio “Orbite. Attorno al cinema di fantascienza cecoslovacco”, scritto dal ricercatore italiano Roberto Alquati ed edito da Urbone Publishing. L’autore, di Lecco, da anni residente a Praga, ha effettuato un appassionato lavoro di ricerca, ripercorrendo l’evoluzione sul grande schermo di questo genere, dai primi adattamenti di Karel Čapek fino ad oggi, grazie anche all’uso degli archivi della Česká televize e del Národní filmový archiv. Un libro ammirevole per il suo tentativo di riassumere la storia del genere, classificare i film secondo le sue varie tematiche, ma anche per la scoperta di autori meno conosciuti ma degni di rivalutazione.
Possiamo esser certi in ogni caso che la tradizione fantascientifica cecoslovacca, anche se meno sfolgorante di un tempo, non accenna a scomparire. Le sue storie sono facilmente rintracciabili, ad esempio nel museo di Karel Zeman, aperto pochi anni fa nel centro della Praga turistica, ai piedi del Ponte Carlo, o nelle nuove proiezioni di Ikarie Xb 1 in vari cinema del paese durante il 2017. Si può dire che il futuro, che qui ha un glorioso passato, è ancora vivo nel presente.
di Lawrence Formisano