Passeggiando per le sue vie è possibile imbattersi in oltre un centinaio di esempi di architettura cubista, un’altra unicità di questa città
A distanza di cinquant’anni, la recensione della retrospettiva Cubist Art from Czechoslovakia allestita alla Tate Gallery di Londra trovata sulle colonne di un numero di The Burlington Magazine datato ottobre ‘67 suggerisce una riflessione su quanto il Cubismo boemo sia realmente noto al grande pubblico in tutta la sua varietà di espressioni.
Il termine cubismo per lo più evoca immediatamente le atmosfere avanguardiste della fervente Montmartre agli albori degli anni Dieci dello scorso secolo. Il pubblico in redingote aveva ormai dimestichezza con l’assenza del chiaroscuro e la risoluzione dell’immagine in soli termini cromatici introdotta dall’Impressionismo, allorquando anche la prospettiva – l’altro pilastro della pittura consolidato dal Rinascimento italiano – si presentò sulle tele parigine profondamente revisionata.
Nell’ordine, Picasso, Braque, Apollinaire e Dérain sono prontamente ricordati per la svolta imposta alla pittura spingendo la prospettiva naturale con pennelli e parole alle sue estreme conseguenze, moltiplicandone i punti di vista e condensando sulla tela frammenti di realtà, momenti ed eventi in un nuovo inedito insieme.
In estrema sintesi, in media al termine cubismo è associata senza indugio la terna “pittura, Picasso, Parigi”. Tuttavia, se la retrospettiva prima parigina e poi londinese poneva in luce il contributo boemo alla pittura cubista – trasformandola terna in un quartetto, aggiungendovi Praga – assai meno conosciuta al grande pubblico è la portata che il movimento cubista ebbe in Boemia, specialmente in architettura.
Il crescente interesse dei giovani artisti boemi per le questioni formali e la lezione di Cézanne spinse nel 1910 l’associazione praghese per le belle arti Mánes ad organizzare una mostra delle recenti opere esposte al Salon des Indépendants di Parigi. Allestita nel padiglione che Jan Kotěra progettò nel 1902 con intenti temporanei per l’esposizione delle opere di Rodin, la mostra ebbe un successo straordinario, tanto che un gruppo di artisti si prodigò per acquistare per la Città la tela Le Bagnanti di André Dérain grazie ad una colletta organizzata nei café. Raccoltisi attorno al critico Vincenc Kramář molti di questi artisti infiammati dalle sperimentazioni condotte dal Cubismo francese lo seguirono a Parigi. Kramář fu tra i primi a studiare il Cubismo, collezionando diverse opere di Picasso e Braque che grazie a lui giungevano a Praga, alimentando una scena artistica estremamente ricettiva.
Sebbene il Cubismo giunse formalmente a Praga mediante la pittura, la schiera di artisti ed intellettuali boemi accolse il concetto di Cubismo configurandolo in una molteplicità, innescando così un fenomeno d’avanguardia tra i più culturalmente pervasivi. Infatti, oltre a dar vita ad una nuova vivida visione sintetica tra narrativa e simbolo conosciuta in pittura come cubo-espressionismo, la scena artistica ed intellettuale praghese fu capace di declinarne i principi pressoché in ogni campo artistico.
Non solo pittura e scultura, ma anche teatro e letteratura destrutturati – come quelli di Karel Čapek (primo ad impiegare il termine robot per indicare un androide) – e soprattutto architettura e design portano materialmente a compimento un vasto progetto formalista ed antifunzionalista. Opponendosi tanto al naturalismo borghese quanto al materialismo secessionista e positivista si perseguiva l’obiettivo di fare tabula rasa della tradizione.
Il linguaggio estremo impiegato sia nelle parole che nelle forme è espressione di una tale volontà di cesura. Accanto a forme volte alla percezione di una materialità astratta e lontane da uno scopo funzionale compaiono infatti discorsi affabulatori, ricchi di proclami e profezie.
Dinnanzi a tali premesse, il pieno successo del trasferimento delle proprie teorie nella progettazione di edifici e di oggetti d’uso non limitata a rari prototipi è una prerogativa che caratterizza profondamente questa avanguardia, sebbene svariate analogie la leghino ad altre esperienze coeve, per esempio al Futurismo italiano.
Ispirato nelle forme dalla scomposizione geometrica e cromatica tipica del primo Cubismo francese, nonostante i proclami in netto contrasto con le necessità delle discipline del progetto, il Cubismo boemo trovò l’arduo e delicato equilibrio tra programma concettuale e funzionale grazie a nuovi principi scientifici. Tuttavia, a nulla sarebbero serviti quei principi senza la passione dei giovani architetti e designer boemi animati dal desiderio di allontanarsi anche stilisticamente da Vienna, pur perseguendo l’unità tra architettura ed arti applicate tipicamente Jugendstil.
L’ideale di legare l’arte con la vita ereditato dalla Secessione Viennese unito al desiderio di forme che esprimessero un messaggio d’autonomia ed indipendenza nelle quali riconoscersi fece di Praga una città cubista.
L’unica città sulle cui strade si possono ammirare oltre un centinaio di esemplari di Cubismo architettonico e persino alcuni raffinati arredi urbani, perfetti esempi di Cubismo boemo.
Il più celebre è certamente l’adamantino lampione con seduta progettato da Emil Králíček e Matěj Blecha collocato tra l’ingresso della trecentesca chiesa della Vergine della neve (kostel Panny Marie Sněžné) e il retro della Adamova lékárna – edificio secessionista che scivola verso soluzioni cubiste. Estremamente significativa anche la felice giustapposizione operata da Antonín Preifer tra la puntuta cornice cubista e la sinuosa scultura barocca di San Giovanni Nepomuceno situata accanto alla casa Diamant, esempio notevole del quale il solo nome è sufficiente ad evocare le sfaccettate e spigolose forme cubiste che la decorano.
Sebbene camminando con sguardo attento tra le vie di Praga balzino agli occhi in posizioni del tutto inattese molte altre delizie cubiste prettamente decorative – come la ringhiera che cinge la fontana all’angolo tra la chiesa di San Nicola (kostel svatého Mikuláše) e Pařížská, vi sono anche compiute espressioni formali. L’edificio residenziale tra Neklanova e Přemyslova che Josef Chochol realizza nel 1913 con una inusitata soluzione d’angolo ne è un valido esempio, sovente l’unico menzionato dai libri di storia dell’architettura. I molteplici piani cristallini ed il tentativo di «rendere cubico lo spazio» sono morfologicamente debitori al tardogotico boemo, basti pensare al sistema di volte della Vladislavský sál all’interno del Castello per scorgere più d’una analogia.
Per una pausa a tema, durante le passeggiate in cerca di facciate cubiste, non può certo mancare una sosta alla centralissima “casa della Madonna Nera” (Dům U Černé Matky Boží), un edificio rinascimentale ricostruito in forme cubiste da Josef Gočár nel 1913 ed ospitante al suo interno il Grand Café Orient, un caffè cubista ancora in attività, completo di arredi e suppellettili originali.
Braccio operativo alla scala minuta in questa battaglia provocatoria contro il gusto provinciale e conformista, la cooperativa Artěl produceva una grande varietà di oggetti, dal piccolo arredamento ai giocattoli, dai tessuti per la casa fino alla gioielleria ed ai souvenir – lavorando tessuti, legno, ceramiche, metalli e naturalmente, seppur in misura assai ridotta, anche il vetro. L’aspetto ed il concept dell’oggetto dovevano prevalere sulle tecniche e sul pregio dei materiali al fine di presentare al mercato il concetto di progetto artistico per oggetti d’uso quotidiano, spianando la strada allo sviluppo del design così come lo conosciamo oggi. La sperimentazione sui piccoli oggetti della quotidianità completava nell’ideale cubista l’esperienza dell’architettura, rendendola totale. Laddove l’architettura permette di confrontarsi con l’espressione plastica di grandi masse, insiemi e concentrazioni di forze, gli oggetti minuti offrono «semplici situazioni di drammaticità», permettendo di declinare ed esercitare l’ideale cubista sulla materia ad ogni scala umana.
di Alessandro Canevari