Ritratto del più celebre giornalista-dissidente cecoslovacco, libera voce contro i totalitarismi. Due volte costretto all’esilio, due volte tornato in patria. Fermo sui suoi principi democratici e pragmatico nella sua azione politica d’opposizione
“Il mio Paese mi sta molto a cuore. Questo probabilmente perché non ci ho vissuto. Quello che mi interessa non è in primo luogo la sua politica, ma delle cose più generali: come stanno i cechi? In che modo il Paese evolve nella storia? Penso che abbiamo in mano tutte le carte per riuscire al meglio, ma è essenziale non essere più obbligati a “fare le valige”. Io l’ho vissuto due volte, e questo non deve succedere ancora”.
Nella lucida commozione di questa breve riflessione c’è tutto Pavel Tigrid, giornalista e scrittore ceco, esiliato due volte, e per più di quarant’anni, dalla sua Cecoslovacchia. Quello che ancora oggi è ricordato come uno dei giornalisti cechi più marcanti del XX secolo, l’incubo dalla stampa di regime, ha un destino personale che si lega a filo doppio con quello della storia contemporanea del suo Paese.
Pavel Schönfeld nasce nel 1917 a Praga in una famiglia di origini ebraiche, un anno prima della fondazione della nazione cecoslovacca. Verso la fine degli anni ‘30 è impegnato in studi di diritto all’università Carolina di Praga; è allora che si appassiona al teatro e alla letteratura nazionali. Presto però, poco più che ventenne, è costretto ad esiliarsi per la prima volta dalla sua terra natale all’indomani dell’invasione nazista della Cecoslovacchia. Ripara a Londra dove collabora con l’edizione ceca della Bbc. Il suo impegno come penna e voce libera e antitotalitaria è cominciato: durante gli anni inglesi scrive per diverse riviste, in particolare Kulturní zápisník, pubblicata in ceco, slovacco e inglese, e Review 42, pubblicata in inglese.
Rientrato a Praga dopo la fine della guerra, Pavel Tigrid – “nom de plume” preso durante l’esilio inglese – lavora per un breve periodo per il ministero degli Affari Esteri e dirige il settimanale Vývoj. Ma la sua permanenza nella capitale ceca è breve: dopo che il Partito comunista cecoslovacco prende il potere con il coup del febbraio del 1948, Tigrid è costretto a “fare le valige” per la seconda volta, stavolta diretto a Monaco, nella Germania dell’Ovest. Qui è l’iniziatore delle trasmissioni in ceco di Radio Free Europe che dirigerà tra il 1951 e il 1952.
Lasciata la Germania nel ‘52 si trasferisce prima negli Stati Uniti dove fonda, nel 1956, la rivista trimestrale Svědectví – Testimonianza – una risposta intellettuale alla brutale repressione della rivoluzione ungherese da parte dell’Unione Sovietica. L’esperienza americana termina nel 1960, anno in cui si trasferisce in Francia, che diventerà la sua Patria d’adozione. A Parigi continua il lavoro su Svědectví: un impegno politico e intellettuale intenso. Questa pubblicazione “resistente” era aperta alle collaborazioni di intellettuali e giornalisti cechi messi al bando in Patria, Václav Havel e Jan Patočka tra gli altri, e lasciava spazio al pensiero di altri grandi nomi del pensiero antitotalitario europeo come Arthur Koestler e Raymond Aron. La rivista, nonostante fosse vietata in Cecoslovacchia, circolava sottobanco fino a raggiungere una tiratura massima di 20mila esemplari al momento della caduta del regime.
Ma l’azione e il lavoro di Tigrid nella ville lumière non si limitano a Svědectví. Tra il 1968 e il 1969 altre due pubblicazioni decisive marcano il suo percorso di riflessione politica: “La Primavera di Praga” e “Così finì Alexander Dubček”, due lucide analisi dell’impossibile riforma del “socialismo reale” in un momento in cui la sinistra francese era galvanizzata dal gauchismo dei discorsi e degli atti del Maggio parigino del ‘68. Ma c’è di più. Dalla Francia Pavel Tigrid riesce ad alimentare anche una rete clandestina anti-regime: grazie a lui, e grazie alla copertura dell’associazione Francia-Cecoslovacchia che si vuole obbediente al regime di Praga, diversi giovani cechi possono uscire dal Paese dopo il 1968 e venire in Francia fingendo di partecipare a viaggi turistici: il vero scopo di questi soggiorni era rientrare con libri e scritti vietati in Patria e soldi destinati all’opposizione politica interna.
Intanto la rivista Svědectví continua a essere una tribuna privilegiata del dibattito politico della dissidenza in esilio. In particolare dopo il 1968 e la fine forzata della Primavera di Praga, segue le attività di Charta 77. Fermo sui suoi principi democratici e pragmatico nella sua azione politica d’opposizione, Tigrid alimenta fino agli anni ‘70 una discussione sulle possibilità (o impossibilità) di cambiamento interne ai sistemi comunisti, in particolare nell’Europa dell’Est: nel 1977 pubblicherà “L’amara rivoluzione: tentativi falliti di umanizzare il marxismo-leninismo”, una serie di ritratti critici di comunisti riformatori dell’Est.
Ormai simbolo della dissidenza cecoslovacca in Francia Pavel Tigrid fu anche promotore della fondazione a Parigi del Comitato internazionale di sostegno di Charta 77, presieduto in Francia dal suo amico poeta Pierre Emmanuel. E in terra francese il giornalista praghese resterà ancora per più di dieci anni, fino alla Rivoluzione di Velluto dell’89 e la caduta del regime comunista nel Paese. Solo allora farà ritorno in Patria. Lui che era stato “direttore” di Havel quando questi pubblicava sulla rivista Svědectví, diventa allora il consigliere del neoeletto presidente ceco.
Qualche anno dopo, il giornalista militante prenderà un posto ancora più prestigioso: dal 1994 al 1996 sarà Ministro della Cultura della Repubblica Ceca. E ancora, lui che dopo la guerra si interrogava nei suoi scritti dell’espulsione dei tedeschi dai Sudeti, ricopre nel 1997 il ruolo di co-presidente del Forum ceco-tedesco che apre alla riconciliazione come condizione all’integrazione europea. Tuttavia, dopo anni di impegno politico in quella che è ormai la “sua” Repubblica Ceca, decide di ritornare nella sua seconda Patria: la “sua” Francia. Morirà qui, nel 2003.
Oggi, davanti a quella che è stata la sua casa, nella rue de l’Abreuvoir di Héricy, non lontano da Parigi, il comune ha messo una targa per ricordarlo: è l’ultima firma “di un uomo giusto e libero”. Così lo aveva ricordato Václav Havel, commosso, il giorno del suo funerale.
di Edoardo Malvenuti