Nel buio del regime gli illustratori riuscivano a far risplendere la loro arte nelle locandine cinematografiche. Dopo il 1989 quest’arte non è sopravvissuta all’avvento del modello hollywoodiano
Infinitamente creative, a tratti pungenti, spesso surreali. Sono questi gli aggettivi attribuiti più di frequente alle locandine cinematografiche prodotte in Cecoslovacchia durante il periodo comunista. A volte bizzarre, ma sempre ingegnose. Può darsi che nomi come Zdeněk Ziegler, Karel Teissig, Bedřich Dlouhý e Jiří Balcar non vi dicano nulla. È probabile però, trattandosi di alcuni dei grafici e degli artisti cecoslovacchi più importanti, che abbiate già visto alcune loro opere. Le locandine, oltre a riflettere l’arte cecoslovacca in generale, sono uno strumento utile per capire meglio la storia del paese – in particolare le opere che annunciavano film stranieri oggi lasciano intuire quanto le influenze “esterne” fossero ammesse o meno. Lentamente, il materiale grafico prodotto nell’epoca torna nuovamente allo scoperto, con sempre più negozi e siti che vendono le opere migliori, testimonianze di altri tempi. Ma in cosa consiste la peculiarità di questi manifesti? Perché questo stile surreale, con locandine che a volte c’entrano poco o niente con i film a cui si riferiscono?
Il motivo principale è di stampo economico. In Cecoslovacchia, come in Polonia (l’unico altro paese che produceva locandine paragonabili per audacia e surrealismo), il costo per importare i poster dall’estero era alto, e quindi i migliori pittori, illustratori ed artisti erano ingaggiati per creare i propri manifesti utilizzando unicamente la loro immaginazione – fuori dagli schemi del marketing che esistevano in altri paesi. Curiosamente, grazie a questa libertà d’espressione e a una sfrenata creatività, gli autori dei poster art, a differenza di altre forme d’arte, potevano sperimentare, senza essere monitorati ed osservati con sospetto dalle autorità. Inoltre, il fatto che gli artisti lavorassero spesso senza vedere i film per i quali disegnavano le locandine, basando le loro opere spesso solo sulla rassegna stampa ed il titolo, spiega le interpretazioni molto uniche e personali dei film sui manifesti – alle volte, persino fuorvianti.
Nonostante una tradizione di poster per il cinema già esistente da decenni, furono i vicini polacchi a dare la spinta necessaria ai cecoslovacchi per “sollevare l’asticella”. Una mostra di locandine polacche al Dům uměleckého průmyslu (la “Casa delle arti applicate” di Praga), nel giugno 1954, aprì gli occhi ai rappresentanti del cinema del paese. Le opere in mostra, realizzate da maestri come Henryk Tomaszewski e Jan Lenica, erano considerate l’incarnazione dell’orgoglio e del carattere nazionale dei polacchi con uno stile grafico unico e indipendente dai prototipi sovietici. Si dice che Projekt, il periodico polacco di arti visive, fu la fonte d’ispirazione della successiva generazione di artisti cecoslovacchi. L’influenza era visibile, ma gli stili delle due nazioni erano diversi. I polacchi si concentravano sempre più sulla pittura, mentre i cecoslovacchi sperimentavano anche altre tecniche, come collage ed incisioni su legno, ma spesso con tendenze surrealistiche simili ai primi.
Il boom nell’industria in Cecoslovacchia era inevitabile, e un gruppo di artisti nuovo, come Karel Teissig, Bedřich Dlouhý e Jaroslav Fišer, si metteva in luce. Una volta colto il potenziale dell’arte, gli studi cinematografici non volevano correre il rischio di avere tra le mani una locandina non all’altezza. Gli artisti venivano scelti molto attentamente secondo le loro caratteristiche e doti, spesso dal dipartimento propagandistico dell’ufficio di distribuzione cinematografico. L’illustratore Stanislav Duda (classe 1921), aveva un talento per le commedie; Karel Teissig (1925-2000) una maniera di esprimersi molto adatta a film ricchi di suspense e misteri, o per il genere horror. Teissig, fortemente influenzato dal jazz, con una profonda conoscenza della letteratura e del mondo artistico di Parigi, è stato il primo artista ceco a creare un poster che ha avuto successo all’estero: si tratta del suo capolavoro per il film francese Le grandi famiglie (Les Grandes Familles) con Jean Gabin, vincitore anche del premio Toulouse-Lautrec a Parigi nel 1964. La sua visione di una locandina come riflessione filosofica dell’artista ha influito incommensurabilmente sulla successiva generazione di grafici tanto quanto il suo motto “Una locandina cinematografica di successo dovrebbe essere bella, alquanto misteriosa, molto intelligente, concisa e inventiva”. Teissig ha insegnato che la chiave è nel catturare l’atmosfera del film con pochi elementi visivi, senza troppo testo, facce o indizi sulla trama. È anche per questo che il poster del film italiano La Steppa (1962) di Alberto Lattuada, disegnato da Bedřich Dlouhý, con una mosca su un rametto, è tra i più iconici della scuola ceca di poster art.
In alcuni casi gli illustratori venivano selezionati direttamente dai registi, come l’artista e poeta surrealista Eva Švankmajerová che fu scelta dalla regista Věra Chytilová per il film Ovoce stromů rajských jíme (“Il frutto del paradiso”, del 1970). Se il cognome della prima ricorda qualcosa al lettore, è perché si tratta della moglie, nonché collaboratrice, del leggendario animatore surrealista Jan Švankmajer. Per la Chytilová, il disegno delirante dell’artista era particolarmente efficace, abbinato allo stile “naturale” del testo, che ricordava i titoli di testa del film. Tanti dei suddetti artisti furono ricompensati con premi internazionali notevoli, come il praghese Jaroslav Fišer (1919-2003), che ricevette il premio Hugo d’argento nel 1976 al Festival internazionale di Chicago per il suo poster di Hra o jablko (“Il gioco delle mele”), sempre diretto da Věra Chytilová.
D’altra parte, bisognerebbe sottolineare come nonostante la libertà concessa all’inizio (e quasi esclusivamente) agli illustratori, negli anni successivi all’invasione russa del 1968, l’incarico di ideare poster per film stranieri diventò in Cecoslovacchia molto problematico. Per il primo piano di una banconota di cento dollari sulla locandina di 100 Rifles (in Italia conosciuto come “El Verdugo”, del 1969), il maestro Zdeněk Ziegler fu interrogato dalla polizia segreta, mentre Josef Vyleťal si trovò costretto ad offuscare con del fumo la bandiera americana sul suo poster di Easy Rider (1969).
Oggi, piano piano, gli autori di questi capolavori di grafica cominciano a ricevere l’attenzione che gli spetta. “Sight & Sound”, la storica rivista cinematografica britannica, lo scorso maggio ha pubblicato un articolo di elogio per le locandine cinematografiche cecoslovacche, mentre il negozio online “Terryho ponožky” si specializza nella vendita di poster storici. Tuttavia, forse la vera Bibbia per gli appassionati resta il libro Czech Film Posters of the 20th Century, scritto da Marta Sylvestrová. Una pubblicazione unica che espone centinaia di manifesti chiave, un libro splendido, frutto di ricerca inesauribile, in cui la Sylvestrová ripercorre gli anni chiave della storia del cinema e della correlata produzione di locandine, arricchendolo con aneddoti affascinanti – e con la folgorante bellezza delle stesse opere.
La peculiare arte delle locandine per il cinema non poté sopravvivere alla caduta del comunismo, alle conseguenti logiche dell’industria cinematografica ed all’imposizione del modello hollywoodiano. Come stereotipo, si pensi ad immagini di attori protagonisti e logo della compagnia. Ci rallegra però che il resto del mondo stia finalmente scoprendo questi capolavori di grafica provenienti dalla vecchia Cecoslovacchia.
di Lawrence Formisano