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Miloš Zeman, quando lo scorso anno ha deciso di candidarsi alle presidenziali, non aveva solo l’ambizione di concedersi un prestigioso quinquennio di soggiorno al Castello, ad ammirare dall’alto di Hradčany il panorama di Praga, magari con in mano un bicchiere del suo liquore preferito. Solo gli sprovveduti avrebbero potuto pensare il contrario e gli ultimi sviluppi sulla scena politica ceca – con l’insediamento del tutto inedito di un governo tecnico senza alcuna intesa preliminare con le forze politiche rappresentate in Parlamento – confermano che Zeman punta a essere l’uomo forte della politica nazionale, con un peso decisivo nelle scelte politiche del paese. Tanto più che il governo tecnico in via di formazione è formato per lo più da seguaci e amici del Presidente, a cominciare dal premier incaricato, l’economista Jiří Rusnok, un ex ministro delle Finanze di area socialdemocratica, che ultimamente ha svolto l’incarico di consulente di Zeman.

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La Costituzione ceca non attribuisce questo ruolo da repubblica presidenziale al capo dello Stato, tuttavia non era difficile immaginare che Zeman – leader notoriamente dotato di grande fiuto politico e di indiscusso seguito popolare, primo presidente eletto direttamente dai cittadini – avrebbe sfruttato questa “investitura popolare” per raggiungere tale obiettivo, tanto più in una situazione di crisi come questa, di crescente malcontento fra la gente e con una fiducia nei confronti della classe politica ai minimi storici.

D’altronde anche i suoi passi in campagna elettorale erano stati più che eloquenti, quando è riuscito a rastrellare consenso soprattutto attraverso critiche feroci al governo Nečas e alla sua politica di austerity.

A questo punto è però necessaria una osservazione: il governo Nečas per crollare ci ha messo abbondantemente del suo. L’esecutivo, che si era presentato come paladino della lotta alla corruzione, è finito in maniera grottesca, inciampando nello scandalo Nagyová, dal nome del capo di gabinetto e presunta amante del premier, che per anni sarebbe stata la stratega di buona parte del marcio che ruotava attorno all’esecutivo. Una vicenda di bassa moralità persino paradossale, per un governo come quello Nečas, che si era posto come primo obiettivo quello di combattere corruzione e malaffare.

La caduta ignominiosa di Nečas ha solo propiziato quest’ultima sortita di Zeman, il quale si è trovato la strada aperta per muovere le proprie pedine e prendere in mano la situazione.

Esemplare il caso delle consultazioni coi leader di tutti i partiti, che alcuni osservatori hanno definito una mera formalità, addirittura una messa in scena. Zeman in realtà, quando, nel castello di campagna di Lány, ha ricevuto i vari capipartito e ha ascoltato forse anche annoiato le varie proposte per uscire dalla crisi, in realtà aveva già preso la decisione di fare di testa sua, puntando su un cosiddetto governo tecnico – “o governo degli esperti”, come egli ama dire – formato da propri amici e sostenitori. Il nome di Jiří Rusnok, come futuro premier tecnico, ha infatti cominciato a circolare quando le consultazioni non erano neanche iniziate.

Quasi patetica la soluzione alternativa avanzata dal partito Democratico civico (Ods), vale a dire la proposta a Zeman di far rivivere una rattoppata coalizione di centrodestra, fra Ods, Top09 e Lidem, affidando l’incarico di formare il governo al presidente della Camera, la signora Miroslava Němcová. Il nome di quest’ultima è apparso subito un compromesso troppo debole, scaturito dalle lotte intestine fra i big dell’Ods, che ormai da anni dilaniano il partito. Una soluzione rispetto alla quale Zeman ha infatti tagliato corto dicendo: “Il Paese oggi ha bisogno di una soluzione di altro genere. Preferisco dare l’incarico a un esperto come Rusnok, perché lo riconosco in grado di scegliere le persone giuste che servono al Paese per adottare i provvedimenti di cui c’è urgenza”. E a nulla sono valse le rassicurazioni in extremis della stessa Němcová, che sino all’ultimo ha chiamato il Presidente per provare a convincerlo di aver raccolto la firma di 101 deputati, su 200, disposti a votare la fiducia.

“Penso che l’opinione pubblica non sia d’accordo con la sopravvivenza di un governo basato sulla stessa coalizione che sosteneva Nečas” ha chiuso il discorso Zeman, il quale – forte evidentemente del voto diretto dei cittadini che lo ha portato al Castello – dimostra di non avere alcuna remora a porsi addirittura come “interprete della volontà popolare”.

Un atteggiamento di tale decisionismo rispetto al quale molti esperti di diritto costituzionale non mancano di storcere il naso, definendo “una soluzione estrema, eccessiva e del tutto inedita” l’orientamento di Zeman di dare il via a un governo tecnico, senza poter contare sulla maggioranza necessaria di 101 deputati alla Camera. Fra gli esperti prevale però l’opinione che non ci sia alcuna esplicita violazione delle regole costituzionali e che a giocare un ruolo decisivo sia l’abilità di Zeman di servirsi dei poteri che la carica presidenziale gli offre e di sfruttare gli spazi lasciatigli dalla evidente debolezza dei partiti.

Per quanto riguarda l’opposizione, i Socialdemocratici della Čssd, principale forza di sinistra, sin dall’inizio della crisi hanno chiesto le elezioni anticipate. Questa soluzione Zeman non la gradisce e non è improbabile che riesca convincere anche parte della Čssd, partito di cui egli è stato fondatore e nel quale vanta ancora molti simpatizzanti.
14 ultima conferenza stampa governo necas (3 luglio)(L’ultima conferenza stampa del governo di Petr Nečas)

L’istanza di scioglimento immediato della Camera, che i Socialdemocratici hanno annunciato di voler presentare, per essere accolta necessita del voto favorevole di 120 deputati su 200, un numero che appare molto improbabile da raggiungere.

Sull’altro fronte, le forze del centrodestra, Ods, Top 09 e Lidem, appaiono ben consapevoli, dopo tre anni di severa politica di austerity, dell’aria che tira fra l’elettorato e sanno che, nel caso di elezioni anticipate, andrebbero incontro a una quasi certa disfatta.

Contro l’ipotesi dell’autoscioglimento della Camera ci sono anche ragioni più prosaiche, in primo luogo il fatto che molti deputati non hanno intenzione di rinunciare allo stipendio e agli altri privilegi riservati ai parlamentari. Molti di loro hanno, giusto per dire, un mutuo ipotecario da pagare e temono, rimanendo disoccupati, di non riuscire a far fronte ai propri impegni.

Anche questa è una ragione per la quale – al di là delle furenti dichiarazioni pubbliche dei vari politici – potrebbe persino avvenire che il governo tecnico di ispirazione Zemaniana, pur senza fiducia, rimanga alla guida del Paese sino alla fine naturale della legislatura, prevista per la primavera del prossimo anno. Senza scartare neanche l’ipotesi che l’esecutivo riesca persino a trovare il sostegno sufficiente per far approvare parte delle leggi che si propone.

di Giovanni Usai