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La capitale belga – ed europea – storicamente sede di spionaggio internazionale. E spuntano vecchi affaires che riconducono alla Praga pre ‘89

Il giornalista Kristof Clerix racconta in un libro le spie dell’Est ai tempi della Guerra Fredda

Soprabiti col bavero ben rialzato, cappelli a tesa larga, ombre lunghe e fotografie in bianco e nero. Difficile sfuggire allo stereotipo delle vecchie storie di spionaggio ai tempi della Guerra Fredda: troppo affascinante, conosciuto e, perché no, piacevole nella sua narrazione, per abbandonarlo. Una storia di spie che si rispetti deve essere raccontata così. L’ambientazione poi, ha i suoi luoghi culto: Orson Welles inseguito dalla telecamera in una Vienna dell’immediato dopoguerra; Richard Burton, la spia venuta dal freddo, sotto lo spinato del muro di Berlino; per non parlare delle città che hanno fatto del mistero il loro fascino, come Venezia, Marsiglia, Istanbul.

Nella facile categorizzazione dello scenario da spy story, una città ai più nota per essere “una capitale della burocrazia” come Bruxelles, non desta un immediato interesse.

Eppure la modernità politica europea ha proprio in Belgio un tesoro informativo da rendere ghiotto ogni agente segreto. Centinaia di sedi diplomatiche, uffici intergovernativi, Ong, migliaia di corridoi colmi di funzionari. Sono 24, ad esempio, i chilometri dei corridoi sotto il vetro e l’acciaio del Palazzo Justus Lipsius, sede del Consiglio dell’Unione Europea. In città sono disponibili tutti i classici camuffamenti dello spionaggio: giornalisti, diplomatici (oltre 5mila in città, più di Washington o Ginevra), funzionari, lobbysti.

“La Nato e l’Ue hanno trasformato la capitale belga nella Berlino del XXI secolo” scriveva qualche anno fa il corrispondente da Bruxelles di una nota testata italiana (la Stampa).

Il processo di accentramento di poteri verso la città è stato graduale, dalla nascita delle istituzioni europee in poi. Ma è stato il Patto Atlantico a stuzzicare occhi indiscreti. Lo spostamento forzato, nel 1967, del quartier generale della Nato da Parigi (ai tempi del ritiro dall’organizzazione da parte della Francia di De Gaulle) al sobborgo brussellese di Haren, diede infatti una spinta decisiva. Viaggiando a ritroso in queste origini di Bruxelles “covo di spie”, il giornalista fiammingo Kristof Clerix è andato alla ricerca dei suoi segreti, pubblicando nel 2013 il libro “Spionage. Doelwit: Brussel” (“Spionaggio. Target: Bruxelles”). Per un dossier del genere, la storia ha fornito una fonte enorme: l’apertura degli archivi di Stato dei regimi comunisti. Al dissolversi della cortina di ferro si è avuta la conferma che i servizi del Patto di Varsavia avevano “i loro uomini” sotto l’Atomium. Era ad esempio tra 40 e 45, il numero di spie del Kgb a spasso per la città a metà anni Ottanta, e addirittura fino a 134 gli agenti della Stasi dalla Germania Est. È tra queste storie che Kristof ha ripescato anche degli affaires cecoslovacchi.

Uomini di Praga sotto i palazzi eleganti della Grand Place, nei quartieri malfamati dietro Gare du Nord, nell’ombra poco rassicurante del lungo parco Elisabeth, che affretta il passo di chi vuol raggiungere la basilica del Sacro-Cuore. Alla fine degli anni Ottanta l’ambasciata cecoslovacca a Bruxelles, in rue Adolphe Buyl (tutt’oggi sede dell’ambasciata ceca), si trovava in un palazzo dalla netta geometria, con sei ampie finestre ad ogni piano, costruito per la grande Expo del ‘58; l’edificio contava sette spie della Státní Bezpečnost (i servizi di sicurezza cecoslovacchi, StB) sotto copertura diplomatica. Tra questi figurava Jan Braňka, specializzato in propaganda, era il “manager delle pubbliche relazioni”. Nome in codice: agente Krupka. Classe ‘36, “occhi scuri, capelli ricci e neri, baffi da gendarme”, era arrivato in città nel 1985, come addetto stampa dell’ambasciata. Il suo compito era quello di influenzare i giornalisti stranieri, l’opinione pubblica, avvicinare i movimenti per la pace, finanche imbonire a proprio gioco i discorsi di alcuni politici. Tutto per mettere in buona luce la Repubblica Socialista Cecoslovacca. “Nel mondo dello spionaggio, queste attività erano chiamate “misure attive””, spiega il giornalista. “I servizi cecoslovacchi mostrarono un forte interesse per i giornalisti belgi. Le spie organizzavano incontri nei ristoranti brussellesi, sfruttando l’interesse dei locali per raggiungere contatti ufficiali”.

Clerix nel novembre del 2010 ha visitato, a Praga, l’Istituto per lo Studio dei Regimi Totalitari, accompagnato da un giornalista del quotidiano ceco Právo, che lo ha aiutato nelle traduzioni. “Una vera manna per un giornalista in cerca di storie interessanti” racconta lo stesso Kristof. “Il vantaggio a Praga era che nessuno dei dati trascritti nei dossier era cancellato da un pennarello, come capitato invece in archivi di altri paesi. Ho potuto utilizzare tutto il materiale raccolto, chiaramente dopo aver effettuato i necessari riscontri, per esempio sentendo le persone citate. Le istituzioni ceche sono state molto gentili, aperte e disponibili. L’istituto mi ha fornito anche un cd con 26mila documenti relativi allo spionaggio cecoslovacco in Belgio”. Oltre al passare infinite ore sfogliando documenti, Clerix ha avuto la possibilità di incontrare Jan “Krupka” Braňka, e quindi raccontare con piena presunzione di verità episodi della vita da agente segreto boemo. Come le mattine invernali sul tram 71, con posti occupati da spie di diverse bandiere, degli incontri in caffè prestigiosi con reporter amanti di Kafka, degli inseguimenti tra le vie del centro con sconosciuti in trench e guanti di pelle. Un esempio del lavoro di Krupka è nella sua relazione con l’ex senatore Jean Jacques Verstappen; un politico noto, delle file del Partito Comunista belga, editore della pubblicazione pacifista “Rencontres pour la Paix”. L’ex senatore e l’agente StB si incontrarono più di cinquanta volte: oltre ad informazioni riservate, Braňka passò a Verstappen oltre cento mila franchi per sostenere i costi della rivista e indirizzarla verso gli interessi del Patto di Varsavia.

Ciò che è interessante delle storie della Guerra Fredda, è che ci possono insegnare meccanismi dello spionaggio in funzione ancora oggi. “L’uso di questa “human intelligence”, ovvero il lavoro con gli informatori”, ci dice Kristof, “è rivelato nel dettaglio: come queste fonti sono cercate, reclutate, manipolate e gestite. Oggi i servizi di tutto il mondo usano ancora “human intelligence”, dall’intercettazione delle telefonate al controllo del traffico internet”. Non solo, sottolinea: “Bruxelles è ancora un campo di battaglia sull’informazione. Basti pensare ai modi in cui viene raccontato il conflitto ucraino in termini di “pubbliche relazioni” da entrambe le parti”. La città non fa che aumentare la propria importanza strategica, sia sul fronte economico (capitale de facto d’Europa), sia sul fronte militare (la Nato ha ripreso ad essere il cardine delle politiche di sicurezza del “Nord” geopolitico). Tanto che nel novembre 2013 il Commissario alla Giustizia Viviane Reding lanciava la proposta (rimasta inascoltata) di una “Cia” europea, in grado di unire i servizi segreti della Ue e rafforzare la sicurezza comune.

Rileggere oggi i metodi dell’agente Krupka, tra finanziamenti illeciti e pressioni mediatiche, non desta sorpresa; abituati come siamo alle dinamiche del “lobbying” aziendale. La gestione dei media è fondamentale, e chissà quanti Krupka di nazioni diverse si aggirano per la città. Di gennaio 2015, un rapporto sullo “spionaggio di massa”, presentato dall’eurodeputato austriaco Paul Rübig (del Partito Popolare), suggeriva a tutti i membri del Parlamento Europeo di spegnere gli smartphone, smontarli anche della batteria prima di iniziare i lavori d’ufficio. Questo perché potrebbero essere usati come “cimici” controllate per via remota; almeno a detta del parlamentare conservatore. Fobie complottiste o saggia cautela? Certo a Bruxelles torna sovente il dubbio, viaggiando sui tram colmi di funzionari in giacca grigia, ascoltando quegli stralci di francese con forti accenti stranieri…

di Giuseppe Picheca