FacebookTwitterLinkedIn

Intervista ad Alberta Lai, Direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura

“Non una turris eburnea, ma un angolo d’Italia nel cuore di Praga”

di Lorenzo Staffa

43-lai

Venerdì pomeriggio di fine settembre, sole alto nel cielo e un tepore ancora estivo. Risaliamo a piedi Malá Strana sino all’Istituto Italiano di Cultura di Praga, per il nostro incontro con Alberta Lai. Attraversato il chiostro centrale, prendiamo le scale verso l’ufficio della Direttrice, che ci accoglie calorosamente e ci fa accomodare a un ampio tavolo rotondo. È a Praga da due anni, un periodo contrassegnato dalla pandemia che non ha però interrotto le numerose attività dell’Istituto. Per iniziare però la nostra intervista, partiamo da lontano.

Direttrice, lei professionalmente nasce come docente di latino e greco al liceo classico. Cosa le manca del precedente lavoro e quanto di quest’ultimo ha portato con sé in questo nuovo ruolo?
Di quell’esperienza lavorativa mi manca il contatto quotidiano con gli studenti, la possibilità di vederli maturare e di aiutarli a crescere umanamente, non solo culturalmente. Insegnavo discipline molto impegnative, due lingue non più parlate, che non mi piace definire morte, e di difficile apprendimento. Le sfide erano quindi altrettanto grandi. Allora ero sempre alla ricerca di aspetti del greco, del latino e della civiltà classica che potessero affascinarli e conquistarli. In qualche modo anche nel mio attuale lavoro sono alla continua ricerca di temi, personaggi, aspetti, curiosità, artisti, luoghi, storie da presentare, da raccontare che possano rivelare l’originalità, la creatività, la profondità della cultura italiana del passato e del presente e accrescere l’amore e l’ammirazione per l’Italia. Devo ammettere che in questo il mio attuale lavoro mi dà grandi soddisfazioni.
Come è nata la sua carriera negli Istituti di cultura?
Quasi per caso, mentre ero a Roma, per il master in paleografia e codicologia greca presso la Biblioteca Vaticana. Pur avendo sempre studiato con passione le lingue straniere e sognato di avere un’esperienza di vita e di lavoro all’estero, le mie scelte di studio e i miei interessi sembravano ancorarmi al mio Paese, poi il caso ha cambiato il corso della mia vita. Un’amica mi segnalò il bando del Ministero degli Esteri per la selezione di lettori di lingua italiana nelle università straniere. Ricevuto il telegramma di vincita, accetto l’incarico a Reykjavik, per un’esperienza bellissima e oltremodo gratificante, che mi ha dato anche la possibilità di dedicarmi alla promozione della lingua e la cultura italiane. Così, cinque anni più tardi ho affrontato un secondo concorso che mi ha fatto transitare nei ruoli del MAE in qualità di funzionario dell’Area della Promozione Culturale.
Già direttrice degli istituti di Vancouver prima e di Chicago poi, dal 2019 a Praga. C’è un aspetto che accomuna gli IIC all’estero da lei diretti?
Non riesco a pensare a forti somiglianze. La spiccata differenza tra il nuovo e il vecchio continente si ripropone anche negli istituti stessi, a partire dalle sedi che li ospitano. La missione è tuttavia la medesima, cioè la promozione della lingua e della cultura italiana, con un particolare impegno nell’organizzazione dei corsi di italiano, scelta strategica che permette ad alcuni Istituti di autofinanziarsi attraverso i proventi dell’attività didattica.
Com’è cambiato, nei vent’anni della sua carriera, il lavoro degli Istituti e quali novità pensa possiamo attenderci per il futuro?
I cambiamenti sono stati rilevanti. Se prima l’indirizzo stesso da parte dei direttori degli IIC era prevalente, da cinque anni a questa parte è il ministero a dettare l’agenda e ad intervenire per uniformare in qualche modo l’azione di promozione culturale nelle diverse aree geografiche. Si è cominciato a parlare di promozione integrata, cioè di promozione culturale non disgiunta dalla promozione del sistema produttivo e del turismo, con un’enfasi su quei settori in cui la cultura si intreccia con l’attività delle imprese italiane come il design, la moda, il cinema, l’editoria, l’enogastronomia. Come in precedenza, si è continuato a dare ampio spazio agli anniversari, ma negli ultimi anni si sono moltiplicate le manifestazioni-contenitore con ricorrenza annuale ideate sul modello della Settimana della Lingua Italiana. Sono nate così importanti rassegne tematiche come la Settimana della Cucina Italiana, l’Italian Design Day, la rassegna Fare Cinema dedicata ai mestieri del cinema e così via.
Un nuovo indirizzo che vi ha quindi quasi privati di discrezionalità.
No, questo no. Naturalmente il direttore dispone ancora di grande libertà nello scegliere i contenuti e le modalità con cui declinare temi e spunti forniti dal ministero, sulla base del contesto culturale, linguistico, geografico in cui si trova ad operare. Tale intervento dal centro ha reso più omogenei e confrontabili i calendari delle attività degli 83 IIC della rete, pur nella estrema varietà dei programmi. Questa è una tendenza destinata a caratterizzare la programmazione culturale degli IIC anche nel futuro, a mio avviso.

46-47-01-a
L’Istituto Italiano di Cultura a Praga si trova in un complesso di grande prestigio, legato da secoli alla storia della città. Quali sono gli aspetti più positivi, e magari anche quelli più impegnativi, di questa sede?
Sì, l’Istituto di Praga e la sua sede si intersecano con la storia della città e della presenza italiana a Praga. L’edificio, una volta ceduto dalla Congregazione Italiana allo Stato italiano e divenuto sede dell’Istituto Italiano di Cultura, è stato via via adattato al nuovo utilizzo. Al piano terra sono stati creati degli spazi per la didattica, mentre il chiostro e la cappella vengono usati come spazi per eventi. È una splendida sede, eppure ho la sensazione che il peso della storia, l’aspetto austero e vetusto, l’isolamento creato dall’alto muro di cinta che cela ai passanti la corte interna, mettano in soggezione il visitatore oppure che la sede possa apparire troppo ancorata al passato per veicolare con efficacia l’immagine contemporanea e vitale dell’Italia. Da un paio di anni abbiamo coniato un motto definendo l’Istituto “un angolo d’Italia nel cuore di Praga” per valorizzare l’idea dell’italianità del luogo e delle attività che vi si svolgono. Abbiamo aperto le porte dell’istituto alle famiglie offrendo attività per bambini proprio allo scopo di trasformare l’Istituto da “turris eburnea”, da austero maniero frequentato da un’élite di intellettuali, a luogo di incontro in cui un ampio pubblico transgenerazionale si possa sentire a casa.
L’attività dell’Istituto è stata caratterizzata quest’anno dal progetto “Sardegna isola delle meraviglie”. Quanto delle sue origini sarde c’è nella decisione di dar vita a questa iniziativa?
Il progetto multidisciplinare Sardegna Isola delle meraviglie non sarebbe stato concepito o comunque non avrebbe avuto questa ampiezza se non avessi avuto un legame così forte con l’Isola. La mia origine mi ha certamente ispirato il progetto e la mia conoscenza del patrimonio culturale, artistico, musicale e storico della Sardegna mi ha consentito di elaborare un programma ricco e sfaccettato finalizzato alla presentazione a tutto tondo della cultura e delle eccellenze sarde, nonché di coinvolgere importanti istituzioni culturali e accademiche e di poter realizzare iniziative che senza i miei contatti personali sarebbe stato arduo concretizzare. Non vorrei che qualcuno pensasse che abbia dato troppo spazio alla mia regione. In realtà si è trattato di un progetto pilota, un format collaudato sulla Sardegna, sulla quale avevo qualche certezza in più, che ci consentirà, valutati i punti di forza e di debolezza, di accendere i riflettori su un’altra regione il prossimo anno.
C’è invece qualche progetto che le piacerebbe intraprendere ma per il quale ha incontrato qualche difficoltà?
Ogni direttore di Istituto coltiva sogni, progetti e speranze. Alcuni si realizzano, come ad esempio, il mio sogno di avere a Praga un’ampia vetrina dedicata alla letteratura e all’editoria italiana, con un palinsesto di incontri con autori italiani che possano dare impulso a traduzioni di opere o di scrittori e scrittrici italiani ancora sconosciuti al pubblico ceco. È di pochi giorni fa l’annuncio che il prossimo anno l’Italia sarà appunto ospite d’onore alla Fiera del Libro di Praga. E con grande soddisfazione rivendico il merito di essere riuscita ad ispirare questa scelta.
Altri ambiziosi progetti invece non vedranno la luce prima della mia partenza da Praga. Ad esempio, il sogno di avere una grande mostra d’arte italiana alla Galleria Nazionale di Praga. Vuoi a causa della pandemia, vuoi per i lunghissimi tempi delle programmazioni di iniziative così complesse, ma soprattutto per il nuovo orientamento della Galleria verso una valorizzazione della propria collezione permanente. Un altro progetto che ha incontrato grosse difficoltà è, invece, la traduzione in ceco del ricettario di Pellegrino Artusi “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Per via della sua mole, circa 780 pagine, nessun editore ceco finora si è sentito di accogliere il mio suggerimento, nonostante l’amore per la cucina italiana sia assai diffuso anche in Repubblica Ceca e nonostante l’indiscusso valore storico e culturale del libro.
Un’ultima domanda, Direttrice: la sua è una carriera che ha raggiunto il livello apicale, tuttavia, si soffre di una certa mancanza di donne in posizione di vertice. Lei che idea si è fatta della parità di genere in Repubblica Ceca?
In tutti i Paesi in cui ho vissuto, questo è sempre stato un tema centrale. In Islanda e Norvegia è una conquista già raggiunta, grazie a un grande impegno da parte delle donne. In altri, come Canada, Stati Uniti e Italia, c’è ancora molto da fare nel cammino verso la parità. Qui in Repubblica Ceca non mi sembra di vedere grandi mobilitazioni e accesi dibattiti, né molte donne in posizioni di primo piano. Se poi guardiamo alla comunità italiana in Repubblica Ceca, vedo che ci sono donne in posizioni di rilievo nei centri di ricerca e nelle università, sia nel settore scientifico che in quello umanistico. Per quanto riguarda l’ambito della economia, nonostante qui ci sia una business community italiana molto forte, faccio ancora fatica in Repubblica Ceca a incontrare donne italiane imprenditrici o dirigenti d’azienda.

42-piu-ampia