“I primi tempi tanta diffidenza, lascito pesante del vecchio regime. Oggi la soddisfazione di aver intorno a me una famiglia di fedeli”. L’esperienza di Edward Walczyk, polacco, prete da 15 anni in Repubblica Ceca
Da quasi vent’anni ormai la Repubblica Ceca è interessata da un fenomeno comune all’Europa e non solo: sempre più spesso sono i sacerdoti polacchi a celebrare la messa in ceco per i parrocchiani locali. Le parrocchie vacanti che sono metà del totale, i preti che abbandonano il sacerdozio e i pochi candidati ai seminari sono i sintomi della crisi delle vocazioni che caratterizza il Paese. Pare che solo a Praga i preti polacchi siano una quarantina, si riscontrano praticamente in ogni diocesi. Per discutere del fenomeno andiamo a conoscere il polacco padre Edward Walczyk che dal 2007 guida le parrocchie di Kyje e Černý Most a Praga 14.
(La Chiesa di S. Bartolomeo a Kyje e padre Edward Walczyk)
A due passi dal laghetto di Kyje, in una zona a pochi minuti dal centro ma circondata dalla natura, sorge un gioiello romanico, la chiesa di San Bartolomeo. Costruita all’epoca del vescovo Jan II (1226-36) come fusione di luogo sacro e centro fortificato, conserva affreschi medievali originali ed è inserita fra i monumenti culturali della Repubblica Ceca. Padre Walczyk mi riceve nell’accogliente canonica e spiega subito che la sua situazione è particolare in quanto non è stato ordinato sacerdote in Polonia ma è un prete ceco a tutti gli effetti. Tuttavia conferma che “i preti polacchi ormai sono mandati ovunque, in tutto il mondo o quasi”. Fin dal primo incontro con la realtà locale a padre Walczyk fu evidente che “dal punto di vista religioso fra Polonia e Repubblica Ceca non c’è paragone, sono due mondi agli antipodi”. Ma prima di un confronto vediamo com’è giunto lui in questo Paese caratterizzato dalla forte presenza di atei e da tanta “povertà spirituale”.
Nato a Jasło, iniziò il seminario a Cracovia per poi prendersi un anno sabbatico, vivere da laico e cercare un impiego. Gli studi di giornalismo lo portarono a Praga dove incontrò, in quanto reporter, il cardinale Miloslav Vlk. L’episodio fu decisivo, Vlk gli fece una tale impressione da decidere: “se devo essere un prete, sarò un prete ceco”. Abbandonare famiglia e patria fu sicuramente un passo importante ma prevalse il desiderio di aiutare in una “terra di missione”. Così Edward Walczyk riprese gli studi seminariali a Praga e, non ancora sacerdote, fu inviato per l’ufficio pastorale a Kralupy nad Vltavou. Incerto se accettare per timore di non farcela, disse al cardinale Vlk “c’è un enorme bisogno, io ci provo”. All’inizio non fu accolto con entusiasmo, si trattava comunque di uno straniero, non ancora prete e che non capiva il ceco. “Sono sopravissuto ai primi mesi soltanto perché non capivo la gente. Sorridevo e dicevo sì sì…” confessa. “All’inizio potevo dedicarmi solo alle questioni materiali e ai lavori di riparazione ma non alla missione spirituale, ovvero servire messa e confessare, per cui la gente non mi chiamava pater ma con il diminutivo paterko. La cosa peggiore è stata costruirsi un’autorità”. Con il tempo le cose migliorarono, anche grazie alla sua buona volontà. Doveva occuparsi di otto parrocchie, molte in cattive condizioni: “Ho riparato sette chiese e cinque case parrocchiali”. Ordinato nel frattempo sacerdote, cinque anni più tardi padre Walczyk abbandonò Kralupy. Andò a Roma per studiare catechetica e tornato a Praga, si stabilì a Kyje. “Sono molto soddisfatto, lo considero il posto ideale per me” afferma. Anche qui non è rimasto con le mani in mano. “La canonica era inabitata da dieci anni prima del mio arrivo”, dunque ha unito alle questioni spirituali le faccende organizzative e manuali, facendo da muratore, falegname e giardiniere. Il lavoro svolto è ammirevole: la canonica, situata dietro la scuola elementare Šimanovská e accanto al bowling club, è stata totalmente ricostruita e attira l’attenzione dei passanti. “Le persone hanno la sensazione che questa sia la loro casa parrocchiale e non quella del parroco” dice con una punta d’orgoglio per aver creato una “comunità familiare”.
Le parrocchie di Praga 14 contano 40.000 abitanti ma in chiesa la domenica ce ne sono normalmente 250-300, stima padre Walczyk che fa notare di doverle gestire da solo mentre in Polonia ci sarebbero almeno dieci sacerdoti per un tale numero di cittadini. Torniamo dunque al tema della crisi della Chiesa con qualche cifra. La Polonia, per numero di vocazioni e sacerdoti, rappresenta un caso anomalo: la Chiesa e i preti godono di enorme prestigio, rispetto e autorità, i fedeli sono il 99% e i due terzi si raccolgono a messa ogni domenica. In Repubblica Ceca, secondo i dati del censimento del 2011, i cattolici sono il 10,37% della popolazione ma solo un decimo frequenta le funzioni. La cifra si è notevolmente ridotta rispetto al 26,8% del 2001 o al 39% del 1991. Il calo, costante dai primi anni novanta, si spiega con la perdita di popolarità delle religioni tradizionali e la scarsa fiducia nella Chiesa come istituzione, che contende il primato ai partiti politici. Il numero è sconcertante se si pensa che il calo totale era stato del 40% nei quarant’anni del comunismo, che avversò la Chiesa cattolica in modo mirato e sistematico. Il prete è tuttora inteso come una delle professioni più strettamente legate al regime totalitario e sebbene oggi si cerchi di recuperare la fiducia persa, nella lista delle professioni più prestigiose sta in basso, nella categoria di poliziotti e segretarie. Per stabilizzare la situazione, nel 1995 l’arcivescovo di Praga Vlk chiese l’assistenza di una quarantina di preti polacchi. Un altro modo per far rivivere le comunità è la collaborazione sia con gli ordini monastici che con i laici che si occupano di vari servizi e spesso vantano studi di teologia. Va infatti detto che le cinque facoltà teologiche presenti in Repubblica Ceca contano circa cinquemila iscritti, numero sorprendente. In realtà è un campo di studi che attira chi vuole dedicarsi a materie sociali, filosofia o storia dell’arte ma non sono necessariamente credenti e solo una decina all’anno sceglie il sacerdozio. Ma padre Walczyk appare speranzoso, “sembra che la situazione migliori, in questo momento ho un candidato al sacerdozio a Olomouc”.
(Il seminario arcivescovile e la facoltà teologica dell’Università Carlo; il seminario arcidiocesano di Olomouc)
Se non ci sono differenze di teologia, è vero che il presente affonda le radici nel passato. “Si può rintracciare una delle cause dell’attuale stato di crisi della Chiesa nell’influenza negativa del regime comunista” afferma padre Walczyk. All’epoca infatti il regime diresse la sua forza repressiva contro le personalità che potevano essere modelli per gli altri, i preti migliori furono imprigionati o rimossi dal ruolo di insegnanti e s’impediva ai candidati di studiare in seminario. “Da allora si diffuse una mancanza di fiducia verso la figura del parroco, la gente era restia a confessarsi con persone compromesse con il regime e dunque si allontanò dalla Chiesa”. Ancora oggi i preti non godono di particolare stima. “Mentre in Polonia o in Italia avere qualcuno in famiglia che intraprende la via del sacerdozio è qualcosa di nobilitante, in Repubblica Ceca non è così, la famiglia spesso non è d’accordo e cerca di ostacolare la scelta”.
Infine influiscono i motivi sociologici: dove c’è una minor percentuale di materialismo le vocazioni aumentano, concetto valido a livello universale, non solo per i cechi. “La stessa Polonia è divisa in due, nelle zone più povere ci sono più vocazioni”. In campagna la gente è più religiosa, “in Moravia ci sono più credenti, più vocazioni e un maggior appoggio da parte dei familiari”. Mentre i fedeli di Praga sono perlopiù persone con una certa istruzione, in campagna è il contrario, “a Kralupy venivano in Chiesa solo due vecchiette e se non c’erano, non si celebrava” racconta padre Walczyk che ricorda anche una ragazza che pur non essendo battezzata frequentava la sua parrocchia per suonare l’organo.
A tutto ciò bisogna aggiungere che i sacerdoti sono lasciati in autonomia ad affrontare un grande compito, ognuno deve organizzare la vita parrocchiale senza ausili. Il problema è che “la gente ha paura di fare qualcosa al di fuori delle mura della chiesa, si sente meglio quando il gruppo è chiuso”. Basti pensare alla Pražská pěší pouť, pellegrinaggio nazionale organizzato per la festa di San Venceslao. Si tratta di un percorso di 15 km che porta a Stará Boleslav, luogo in cui Boleslao uccise il fratello Venceslao. Nacque come iniziativa per coinvolgere tutta la città ma la gente non si mescola, ogni parrocchia segue un percorso individuale. Si preferiscono le iniziative più “piccole” e Kyje offre varie attività di incontro, una fiera annuale e, dal momento che ci incontriamo a poche settimane dal Natale, non mancheranno i festeggiamenti per S. Nicola. Inoltre, l’occasione per unire la comunità durante il periodo d’avvento si presenta il sabato, quando alla messa del mattino segue una colazione assieme. Alla Vigilia di Natale, dopo la tradizionale Messa pastorale boema del compositore Jan Jakub Ryba, ci si ritroverà per le koledy, i tipici canti natalizi che risuoneranno anche nel giorno di S. Stefano.
di Sabrina Salomoni