Si è proclamato filoeuropeista fin dall’insediamento, ma ha anche criticato Bruxelles in diverse occasioni
Ha fatto issare la bandiera dell’Unione europea sul Castello di Praga, ha invitato alla cerimonia del suo insediamento al Hradčany il presidente della Commissione Ue Manuel José Barroso e con lui ha firmato il Meccanismo economico di stabilità, meglio noto come Fondo Salva-Stati. Tutte cose che il suo predecessore, l’euroscettico per eccellenza, Václav Klaus, si era rifiutato per anni di fare. Miloš Zeman si è presentato come un filoeuropeista doc, un amico di Bruxelles su cui contare, pronto a fare sue le battaglie europee, anche quelle più invise all’ex inquilino del Castello da cui ha preso le distanze ogni volta che ha potuto. Gesti e parole a parte, però, il nuovo presidente della Repubblica Ceca sta a poco a poco gettando la maschera e quell’europeismo della prim’ora, forse più di facciata che di solida convinzione, sembra lasciare il posto a un opportunismo condito in salsa autoritaria. I giudizi sui colleghi che siedono sugli scranni europei, espressi dalle pagine del Financial Times, non lasciano spazio a dubbi su cosa Zeman pensi: a Bruxelles ci sono tante “persone” ma non abbastanza “personalità”, ha detto il capo dello Stato ceco.
“In Ue oggi ci sono troppi funzionari di partito, ma pochi leader. Tante persone, ma poche personalità. E io sono uno che ammira le personalità”, ha spiegato durante l’intervista in un misto di disprezzo ed elogio.
C’è, infatti, chi, in dichiarazioni di questo tipo, potrà vedere un complimento per coloro che veramente fanno politica in Europa e invece una dura e aspra critica per coloro che poco fanno per far crescere l’Ue riscaldando la sedia. La verità probabilmente sta nel mezzo e nell’ormai nota abitudine di Zeman di scherzare pesantemente e di dare un colpo alla botte e uno al cerchio. E così da una parte si è discostato in maniera netta da Klaus e anche dal conservatore britannico David Cameron che ha parlato di collaborazione tra Londra e Bruxelles: “Questa è la differenza tra me e Klaus e tra me e Cameron. Noi non cooperiamo con l’Ue, noi siamo l’Ue”. Dall’altra il capo di Stato ceco ha ribadito che Praga non dovrebbe firmare il “Fiscal compact”, su cui mancano appunto le firme di Gran Bretagna e Repubblica Ceca. Inoltre Zeman ha fatto capire senza mezzi termini che non è d’accordo con la nuova direttiva Ue sul tabacco, che mette a rischio migliaia di posti di lavoro, e sulle norme sull’efficienza delle lampadine: “Anche io ne ho una ad alta efficienza nel mio cottage e sembra di essere in un cimitero”, si è lamentato.
E questa doppia faccia Zeman l’aveva mostrata già in precedenza, in occasione della visita in Germania quando aveva criticato l’Ue per “l’approccio morbido” al terrorismo e lo aveva paragonato all’atteggiamento accomodante delle potenze occidentali alle dittature nazi-fasciste degli anni Trenta, puntando nello stesso tempo a una politica comune di difesa Ue, con un esercito europeo e polizie nazionali. Come al solito: un colpo alla botte e uno al cerchio.
Zeman, invece, non ha usato giochi di parole o battute per schierarsi contro la direttiva Ue sul tabacco. Nel corso della prima visita a Bruxelles da presidente, ben sei mesi dopo il suo insediamento, ha sottolineato che nel Parlamento europeo dovrebbe prevalere il buon senso: salvare posti di lavoro e, ma questo non lo ha detto, l’investimento di Philip Morris in Repubblica Ceca. La multinazionale del tabacco dispone infatti di un grande stabilimento a Kutná Hora, in Boemia centrale.
Un’operazione quasi da lobbista, mascherato da presidente-sindacalista. “Credo fermamente che dovrebbe prevalere il buon senso, insieme agli interessi dei circa 1.500 dipendenti della fabbrica Philip Morris in Repubblica Ceca e dei circa 10.000 lavoratori che dipendono dalla prosperità della stessa azienda”, ha detto Zeman, lui stesso accanito fumatore, aggiungendo di averne discusso con il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e di voler esprimere lo stesso concetto anche agli altri leader Ue.
A Bruxelles, quindi, dopo i primi entusiasmi per aver drasticamente voltato pagina dopo l’era Klaus, iniziano a profilarsi i primi dubbi sull’“alleato” Zeman. A preoccupare sono prima di tutto l’autoritarismo del presidente e la sua ingerenza nella politica del Paese: la vecchia volpe, però, non ha ancora passato il segno e sa come destreggiarsi, si sottolinea in ambiente europeo. “Il presidente può esprimere soltanto la sua opinione personale – si è rammaricato Zeman – ma io dico le cose apertamente, perché il capo dello Stato ha anche il diritto di nominare il primo ministro – ha spiegato a proposito della crisi di governo in cui ha fatto sentire il suo peso. – Il presidente non deve essere un politico? Allora a cosa serve?”. E sulle possibili violazioni alla Costituzione o le ingerenze troppo nette Zeman ha commentato: “Mi accusano di essere un dittatore perché ho indetto elezioni anticipate nominando un governo ad interim. Se lo immagina un dittatore che indice elezioni libere nel suo Paese?”
E a chi lo paragona all’ungherese Orbán, spesso tacciato di voler attentare alla Costituzione con le sue posizioni estremiste, risponde difendendo il primo ministro magiaro che si è confrontato con elezioni libere e partiti d’opposizione forte, due ingredienti essenziali della democrazia. Una difesa che non sorprende, visto che nel corso di una recente intervista al Financial Times Zeman ha più volte citato Winston Churchill e Charles de Gaulle definendoli degli eroi che hanno contribuito ad unire i loro Paesi.
di Daniela Mogavero