Rudere dei vecchi tempi o vittima innocente dell’anticomunismo?
Discussioni e polemiche in Repubblica Ceca per l’imminente demolizione dello storico albergo a cinque stelle di Praga 6, un notevole esempio di architettura moderna, ma evidentemente anche un simbolo scomodo della normalizzazione post ‘68.
Le proteste non sembrano in ogni caso dissuadere il nuovo proprietario, il tycoon Petr Kellner, che ha deciso di smantellare il grande albergo – non più in funzione dallo scorso gennaio e caduto parecchio in disarmo negli ultimi anni – e realizzare in questa esclusiva zona residenziale, la collina di Hanspaulka, una scuola privata d’élite.
Nel paese non tutti sono chiaramente d’accordo con la decisione di abbatterlo e sono in tanti a sostenere che l’Hotel Praga meriti maggiore rispetto. Fra di loro anche un esperto italiano, l’architetto Ottaviano Maria Razetto, il quale si dice letteralmente sconcertato: “Desta meraviglia che ad armare il piccone demolitore sia un miliardario come Petr Kellner, il quale sarebbe auspicabile rappresentasse anche una sorta di guida culturale paragonabile a grandi figure illuminate del passato. Ci saremmo aspettati che si impegnasse per la salvaguardia di questo edificio, piuttosto che per la demolizione”.
Un po’ di storia
Inaugurato nel 1981, durante gli anni del regime l’albergo veniva utilizzato come dimora extralusso e riservatissima per gli ospiti di riguardo dell’allora Cecoslovacchia. Quasi sempre erano delegazioni dei paesi del Patto di Varsavia e in genere i dirigenti dei partiti comunisti stranieri. Inconfondibile per la sua forma ondulata e allungata, l’edificio si staglia in cima alla collina di Hanspaulka, qualche chilometro a ovest rispetto al centro di Praga. Tutt’attorno ville realizzate dalla ricca borghesia praghese degli anni Venti, poi occupate, dopo l’avvento del regime, dalla nomenklatura comunista. In una di queste prestigiose residenze, vive ancora oggi Milouš Jakeš, 92 anni, l’ultimo segretario generale del partito Comunista cecoslovacco, mandato in pensione dalla Rivoluzione di velluto del 1989. Poi ci sono proprietari che hanno avuto le ville in restituzione o magari i nuovi ricchi della Praga post ‘89 che le hanno comprate di recente. Una zona tranquilla per eccellenza, per strada quasi nessuno e alcuni cani ringhiano dietro la staccionata. La Praga meta del turismo di massa è da tutt’altra parte.
L’ormai ex albergo è attorniato da un parco di quasi nove ettari che scende dolcemente verso la via Evropská, l’arteria che conduce all’aeroporto. Quasi impossibile sbirciare all’interno, per un possente muro di cinta, che in alcuni punti raggiunge i cinque metri d’altezza.
A quei tempi doveva essere il massimo della modernità, oltre che della sicurezza.
Il concorso architettonico per la scelta del miglior progetto si svolse nel 1971, appena tre anni dopo la fine della Primavera di Praga. L’idea fu di realizzare un’opera che desse una dimostrazione al mondo del livello raggiunto dal sistema comunista sul piano architettonico e tecnologico. Ne venne fuori un albergo imponente, con la sua scenografica scalinata interna verso i maestosi saloni e arredi di lusso estremo, con gli immancabili lampadari in cristallo di Boemia realizzati dai migliori artisti del vetro.
Cinque piani, per un totale di 136 camere, tutte con vista panoramica sul prospiciente Castello di Praga, e 51 suite, fra cui l’enorme appartamento presidenziale, 400 mq, che ebbe fra gli ospiti il temutissimo Leonid Brežnev. In tempi più recenti – quando dopo il 1989 la struttura cominciò a funzionare come un normale albergo – qui ha alloggiato anche l’attore americano Tom Cruise, giunto a Praga nel 1996 a girare “Mission: impossible”.
Negli ultimi anni, per la sua posizione non centrale, è stato utilizzato regolarmente dalla nazionale ceca di calcio come luogo di ritiro. Memorabile lo scandalo del 2007, quando i giocatori, approfittando della privacy dell’Hotel Praha, organizzarono una festa a luci rosse, coinvolgendo un gruppo di prostitute. Un paparazzo riuscì a immortalare l’arrivo delle ragazze nonché qualche scena dei festeggiamenti, e fu un vero putiferio, un affronto per il prestigio dell’Hotel, soprattutto un’onta per l’alone di riservatezza che sempre l’aveva distinto.
Quando fu costruito, costò l’astronomica somma di 800 milioni di corone (più di 32 milioni di euro attuali). Non si sa quanto Kellner lo abbia pagato, ma è stato di certo molto, visti anche i debiti accumulati negli ultimi anni, quando i precedenti gestori si sono intestarditi a utilizzarlo come hotel. La città ormai pullula di alberghi di lusso e il Praha, così solitario in cima alla collina, da tempo non era in grado di fronteggiare la concorrenza di strutture più moderne, situate nel centro storico e più adatte a chi vuole godersi la città da turista.
L’Open Gate al posto dell’Hotel Praha
Kellner – lo yeti del business ceco, come viene definito per la sua proverbiale riservatezza e la ingordigia imprenditoriale del suo Ppf Group – lo ha comprato appena due mesi fa. Un suo portavoce ha escluso sin da subito la possibilità di rinnovare l’originaria destinazione alberghiera.
All’inizio si pensava che Kellner volesse realizzarvi un progetto residenziale di lusso, poi l’annuncio che l’hotel sarà raso al suolo e che verrà invece costruita – nel versante inferiore della collina, più vicino ai mezzi pubblici – la nuova sede dell’Open Gate, la scuola privata (dalle elementari sino al ginnasio) fondata dalla Kellner Family Foundation.
L’istituto già da alcuni anni prevede un particolare mix di studenti: una parte – “la minoranza”, come precisano i dirigenti della scuola – sono i rampolli di famiglie benestanti che possono permettersi la carissima retta di frequenza, mentre gli altri allievi sono ragazzi di spiccata capacità e intelligenza, provenienti da famiglie non abbienti. Per questi ultimi la Kellner Family Foundation paga interamente tutti i costi.
Non manca anche chi sostiene che i progetti di sviluppo immobiliare siano ancora sullo sfondo e che in futuro, una volta abbattuto l’ingombrante hotel, ci sarà tutta la possibilità di realizzare anche delle ville nella parte del parco più panoramica.
Fatto sta che il ministero della Cultura, la scorsa primavera, ha respinto la richiesta di dichiarare l’Hotel Praha un edificio da mettere sotto tutela, e sinora non sono valse a nulla le proteste di quanti lo vorrebbero salvare. Di recente si è svolta anche una manifestazione di protesta, con la partecipazione di alcune decine di cittadini, forse un centinaio. A mobilitarsi non erano certo nostalgici del regime pre ‘89, ma soprattutto esperti di architettura, molti studenti, tantissimi giovani, tutti convinti che questo edificio nel bene e nel male faccia parte ormai della città, della storia di Praga, e che non sia giusto raderlo al suolo.
“Le ragioni per tutelarlo ci sarebbero tutte, dalla storia che rappresenta, all’indiscusso livello architettonico dell’edificio” conferma l’architetto Razetto. “Basta vedere la curva con cui l’hotel abbraccia letteralmente il paesaggio sottostante, quasi idealmente a volersi uniformare all’inclinazione naturale del terreno, per scorgere quello che – a distanza di trent’anni – alcuni dei più acclamati architetti contemporanei – da Zaha Hadid a Peter Eisenman – realizzano in tutto il mondo. L’Hotel Praha rappresenta allo stesso tempo un esempio architettonico e soprattutto storico di primo piano, ma paradossalmente è anche un simbolo storico di un’epoca che si vuole cancellare”.
Lo yeti del business ceco infatti sembra proprio non voler sentire ragioni. Ha chiesto che i lavori di smantellamento siano effettuati durante il prossimo inverno. “Basta guardare al passato e ai fantasmi del comunismo” pare sia stato l’ordine dello yeti del business. E così, quasi certamente, la vita dell’Hotel Praha non arriverà alla prossima primavera.
di Giovanni Usai